Una panzata fatale. Robin Olsen difficilmente dimenticherà la clamorosa papera, quell’inutile tuffo nel nulla, regalata alla Roma contro il Napoli. Perché...
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ANTICHI GUAI
Dentro Mirante, dunque. Non un fuoriclasse del ruolo (non ce ne voglia...), se mai un onesto professionista incaricato di fare meglio di chi stava facendo molto male. E, in certi, casi il compito è agevolato. E chissà che nella decisione di Ranieri non abbia pesato a favore di Mirante anche il Fattore C, inteso come Comunicazione: i giocatori della Roma in campo comunicano poco, e forse con Mirante l’allenatore ha voluto incrementare la capacità di guidare la squadra, di dare ordini da dietro. Ipotesi, semplici ipotesi. Tutte chiacchiere della vigilia, si sa, spazzate via dal fischio d’avvio di Massa. Perché l’ultimo arrivato, questione di minuti, è stato subito costretto a dimostrare che non vive da anni tra i pali per caso, e ne sa qualcosa Benassi. Così come Muriel, poco dopo, è stato costretto a tenersi in gola l’urlo per un gol negatogli in tuffo ancora da Mirante. Incolpevole, a seguire, sul colpo di testa da due passi di Pezzella. Emblematica un’inquadratura di Olsen in panchina: della serie, chi sono, cosa ci faccio qui? Mah.
Quando - però - vedi che la Viola ripassa avanti con una deviazione di Jesus su tiro di Gerson, Mirante incolpevole, capisci che forse il problema non è il portiere ma la porta della Roma. O, meglio ancora, il problema è la Roma, al di là di chi gioca tra i pali. Come testimoniato dal risultato finale, un pareggio che non serve a niente. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero