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«Non si lavora con i calciatori, ma con uomini che giocano a calcio. Quindi l'empatia è fondamentale». José Mourinho torna a parlare dell’aspetto mentale e del feeling con i suoi calciatori e lo fa presso la Facoltà di Scienze Motorie dell'Università di Lisbona. Un dialogo con gli studenti che vogliono fare dello sport la loro professione: «Siamo in un periodo del calcio in cui tutti cercano di trovare la 'ricetta perfetta', alcuni pensano che il segreto sia l'innovazione tattica o fare qualcosa di nuovo negli allenamenti. Uno dei migliori attaccanti del mondo, Eto'o, giocava da terzino contro il Barcellona: questo succede solo grazie all'empatia. Senza empatia non c'è felicità, soprattutto quando non si hanno giocatori incredibili. Il rapporto umano è, e sarà sempre, fondamentale. Se sei in un club normale, non essere ossessionato dalla tattica e dalla metodologia, ma si lavora sull'empatia».
E probabilmente per Mourinho la Roma è classificata come club “normale”: «Quando si invecchia, si dà più importanza al processo, a quello che si è passato prima e a quello che è successo dopo. All'inizio ero più egoista, ora penso più alla felicità degli altri. Come allenatore, mi sento più umano. Io duro con i giocatori? Quando si è duri sugli aspetti tattici, se ne può discutere davanti a tutti. A livello personale meglio farlo in privato, ma sempre conoscendo bene il profilo dei giocatori che hai a disposizione. E non promettere qualcosa che non rispetterai». Infine, sulla gestione delle finali: «Le semifinali o le finali non sono un momento speciale in termini di preparazione, l'allenatore non può avere la pretesa in una finale di essere il migliore in campo. Non puoi dare ai giocatori pressione extra e costringerli a fare cose a cui non sono abituati, devi lasciare che facciano quello che si sentono di fare».
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Il Messaggero