Roma, le tre vie di Pallotta per salvare il club

foto Gino Mancini
C'è un vecchio adagio popolare che ricorda come per gli ottimisti è il fondo che è salito a toccarti e non il contrario. In questi giorni si può...

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C'è un vecchio adagio popolare che ricorda come per gli ottimisti è il fondo che è salito a toccarti e non il contrario. In questi giorni si può dire di tutto di Pallotta meno che abbia perso il suo proverbiale atteggiamento fiducioso. E così, a chi lo contatta in privato, il presidente continua a dispensare rassicurazioni sul fatto che ai conti della Roma sarà lui a pensarci. I numeri però preoccupano sempre di più. Tre in particolare: il rosso a bilancio salito a -126,4, l'indebitamento complessivo lievitato a 280,5 milioni e il fatturato passato in un anno dai 257,9 milioni (31 marzo 2019) ai 140,8 dell'ultimo report. Un crollo non compensato da un'adeguata riduzione dei costi. Per provare ad uscire da questa situazione le strade inevitabilmente si suddividono.


JIM E LA SOCIETÀ
C'è quella percorsa dall'azionista di maggioranza che può scegliere tra cedere il club, inserire un nuovo socio che provveda ad immettere liquidità oppure completare l'aumento di capitale. In quest'ultimo caso il decreto di liquidità è venuto in soccorso di Pallotta visto che i tempi per completarlo si sono allungati sino al 31 dicembre. Il problema per Jim sarà convincere i soci che lo affiancano a parteciparvi, considerando la resistenza di questi ad immettere ulteriori capitali a fondo perduto, come dimostra l'ultima operazione finanziaria effettuata (prestito Neep). C'è poi la via che dovrà perseguire la società, intesa come dirigenza in loco. In questo caso le linee-guida sono già delineate da tempo: 1) Abbattimento del monte-ingaggi del 20% passando da 140 milioni a 115 2) Riduzione della rosa da 28 a 22-23 elementi 3) Tetto ingaggi per i nuovi arrivati a 3 milioni 4) Risparmiare sul costo dei cartellini agendo in entrata con la formula del prestito, sul mercato degli svincolati o diluendo in più anni gli acquisti, stile Ibanez 5) Guardare soprattutto al mercato estero che in virtù del decreto crescita rende più conveniente pagare lo stipendio ai calciatori visto che la tassazione è ridotta dal 70% al 30% 6) La cessione di «asset aziendali disponibili», ossia calciatori: in primis gli esuberi (Pastore, Perotti, Juan Jesus, Karsdorp, Coric, Olsen, Bianda, Bruno Peres) e poi alcuni elementi (Kluivert, Under, Cristante, Schick, Florenzi, Riccardi) che possano garantire importanti plusvalenze. Il fine, oltre all'abbattimento dei costi, è salvare Zaniolo e Pellegrini.

LA SQUADRA

A meno che a risolvere gran parte dei problemi di Pallotta e del club non sia Fonseca. Se il tecnico riuscisse a vincere l'Europa League riuscirebbe di colpo nella doppia impresa: centrare l'accesso diretto alla Champions (dunque garantendo 50-60 milioni) e far incassare un'altra ventina di milioni, tra i premi Uefa (13,5 milioni per la vincitrice) e la quota legata al market pool, quantificabile con esattezza solo a competizione conclusa (da calcolare sui 168 milioni totali). In virtù di questo quadro complessivo, Pallotta prende tempo. Avendo da giocarsi - in ottica cessione e rivalutazione dell'asset - anche la carta-stadio. Stefano Carina Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero