Faticosa e “calcolatrice”: la nuova Coppa Davis è già da riformare

Fabio Fognini e Corrado Barazzutti
«Questo passa il convento». Che di certo non è una promozione, ma, a voler essere ottimisti, nemmeno una bocciatura totale. Le parole sono quelle con cui...

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«Questo passa il convento». Che di certo non è una promozione, ma, a voler essere ottimisti, nemmeno una bocciatura totale. Le parole sono quelle con cui lunedì il capitano azzurro Corrado Barazzutti ha commentato il formato della nuova Coppa Davis. A Madrid era l’1.30 di notte e l’Italia aveva da poco perso per 2-1 il confronto con il Canada. «Giochiamola, ma alcune cose vanno sistemate per il futuro», la chiosa di Barazzutti.


I CONTRO
Stroncare l’innovazione in toto sarebbe ingeneroso: in fin dei conti è raro che una nuova manifestazione nasca perfetta. Più facile che si assesti con il passare delle edizioni. Al momento il problema principale delle Finals è il programma di gioco, con le sfide condensate in una giornata e orari audaci, con i giocatori in campo dalle 16, se non dalle 20 (come nella sfida di ieri con gli Stati Uniti). Il ricorso ai match due set su tre - in luogo del classico 3 su 5 - ha ovviamente snellito ma non abbastanza per gestire la giornata. In più il formato condensato obbliga i giocatori schierati sia in singolare che in doppio a stare in campo per un monte di ore insostenibile a questo punto della stagione. Sempre lunedì Matteo Berrettini e Denis Shapovalov se le sono date di santa ragione per tre ore buone e, dopo mezz’ora, erano di nuovo in campo per il doppio. Morale della favola: match chiuso all’una di notte («Sono distrutto», ammette il romano dopo 4 ore e 35 minuti complessivi in campo), conferenza post incontro a orari improponibili e uno strascico di antidoping che allunga il tutto fino a non si sa quando. Senza contare che, mentre gli azzurri hanno avuto il giorno di riposo, il Canada è dovuto tornare in campo già il giorno dopo per la sfida agli Usa.

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Altra anomalia: ogni squadra gioca due match in tre giorni, il team che li ha consecutivi è indubbiamente penalizzato. Non a caso i canadesi, dopo aver vinto i due singolari con gli Usa, si sono ritirati, risparmiandosi le fatiche di un doppio ininfluente per il loro primo posto già acquisito e regalando invece agli Stati Uniti un 6-0 6-0 a tavolino pesante nel bilancio set e game per l’eventuale promozione tra le migliori seconde. Il girone a tre e i ripescaggi, inoltre, strozzano in gola l’esultanza per il passaggio del turno perché è facile restare appesi ai risultati degli altri gironi o all’ultima sfida del proprio. Annotazione finale: il nuovo format non è servito ad attrarre i big più del vecchio. Tra infortuni e rinunce - anche alle fasi disputate in precedenza nel 2019 - mancano all’appello 5 dei primo 10 giocatori del mondo, 9 dei primi 20. 

I RIMEDI 

Messa così sembra una tragedia: eppure il match tutto in un giorno un certo fascino ce l’ha. Andrebbe snellito, quello sì. Potrebbe essere una buona idea provare i set brevi a 4 game e il killer point come alle Next Gen Finals (ma Djokovic e Nadal avranno voglia di giocare con queste regole?). Sarebbe opportuno anche ridurre il numero delle squadre, da 18 alle vecchie 16, così da poter comporre quattro gironi da quattro con un duplice beneficio: tutti giocano negli stessi giorni e promuovendo prime e seconde non ci sarebbero attese legate agli esiti degli altri raggruppamenti (e improbabili qualificazioni davanti alla tv). Perché l’urlo liberatorio e l’invasione di campo dei compagni quando l’ultima pallina va a segno sono il vero patrimonio della Coppa Davis, quello che non deve essere toccato.  Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero