Pernat e la tragedia del Mugello: «Quel minuto di silenzio è stato inopportuno»

Pernat e la tragedia del Mugello: «Quel minuto di silenzio è stato inopportuno»
Definire il paddock come sua seconda casa è riduttivo. Carlo Pernat è uno di quei volti che intere generazioni hanno legato al motomondiale. Procuratore oggi di...

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Definire il paddock come sua seconda casa è riduttivo. Carlo Pernat è uno di quei volti che intere generazioni hanno legato al motomondiale. Procuratore oggi di Arbolino e Bastianini, fu team principal ai tempi d’oro di Aprilia, prima ancora di Cagiva. Da manager storico, sa bene cosa vuol dire vivere determinati dolori: «Purtroppo questo tipo di incidenti sono i peggiori per un pilota. Quando vieni investito, otto volte su dieci fai una brutta fine».


Pensa che il motomondiale sia arrivato ad un livello di sicurezza elevato o per questo tipo di variabili serve ancora intervenire e lavorare? 
«Non credo ci sia un problema sicurezza. Abbiamo circuiti sicuri ed anche le protezioni dei piloti sono arrivate ad un livello molto elevato. Rispetto solo a pochi anni fa abbiamo fatto dei passi in avanti spaventosi. L’unico fattore su cui si può intervenire è relativo alle potenze che sprigionano le MotoGP oggi, per un fattore di distanza di vie di fuga. Ma su questo argomento devono mettersi intorno ad un tavolo le Cas».
Con questo incidente si è riaperto il dibattito sulla pericolosità dei trenini in Moto3. E’ un problema “di classe”? 
«No assolutamente. La controprova è che gli incidenti mortali accaduti negli ultimi anni hanno avuto la stessa dinamica ma in classi differenti. Il povero Marco in MotoGP, Shoya Tomizawa in Moto2, ieri questo ragazzetto...19 anni aveva...».
Il weekend di gara è proseguito. E’ stato d’accordo con la decisione di correre? 
«Più che altro non ho capito la decisione di dare un minuto di silenzio pochi minuti prima di partire. È proprio l’ultima cosa che avrei fatto. Hai messo i piloti nella condizione di correre male. Forse i piloti stessi avrebbero dovuto prendere posizione insieme e decidere di non disputare la gara».

 

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Il Messaggero