Pellegrini, parla il tecnico che gli ha cambiato ruolo: «Non è stato facile»

foto As Roma
Stagione 2008-09. Lorenzo Pellegrini ha 12 anni. Ha sempre potuto usufruire di una fisicità importante e, come (quasi) tutti i bambini, ama giocare centravanti. Passione...

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Stagione 2008-09. Lorenzo Pellegrini ha 12 anni. Ha sempre potuto usufruire di una fisicità importante e, come (quasi) tutti i bambini, ama giocare centravanti. Passione che alimenta dando i primi calci ad un pallone nell’Italcalcio. Non trascorre nemmeno un anno e si fa viva la Roma con Bruno Conti. Dopo tre mesi di prova viene preso. Gioca ancora attaccante ma per poco. A cambiargli ruolo, e probabilmente il futuro calcistico, non è stato come molti credono Vincenzo Montella ma Mirko Manfrè, classe ‘76, attuale referente delle scuole calcio a Trigoria.


Manfrè, ci racconta di questa intuizione?
«Lorenzo lo ho avuto con me due anni, nelle categorie giovanissimi provinciali e regionali. Eredito la squadra con lui centravanti. Inizio anche io così. Poi mi rendo conto che ha delle qualità particolari e che può rendere meglio in una posizione più arretrata, dove può usufruire di più spazio».
È stato semplice convincerlo?
«Diciamo di sì (ride, ndc)... Inizio a parlarci. Persuadere un bambino a lasciare la maglia numero 9 non è mai semplice. Allora comincio a farlo giocare una partita in attacco e una a centrocampo. Così facendo, si rende conto che in quella posizione tocca molti più palloni, è più partecipe al gioco. Alla fine si convince».
La consacrazione arriva nella finale regionale.
«Sì, giochiamo contro la Tor Tre Teste e, nonostante fossimo una squadra sotto età, vinciamo 4-1. Lorenzo è il migliore in campo, giocando da centrocampista».
Si aspettava all’epoca che Pellegrini potesse diventare il calciatore attuale?
«Era sicuramente uno di quei ragazzi che dovunque andassimo non passava inosservato. Magari potevano esserci dei compagni che rubavano di più l’occhio ma l’esperto di calcio si accorgeva di lui. E a me ha sempre colpito la straordinaria capacità di apprendimento».
È sempre stato così posato, anche da bambino?

«Sì, un ragazzino d’oro. Deve ringraziare il papà e la mamma che non gli hanno mai messo pressione. E questo ha giovato alla sua serenità. Sin da piccolo era un leader silenzioso. Una volta, in un torneo estivo, il responsabile dell’hotel si lamentò dicendomi: “I tuoi ragazzi stanno facendo confusione”. Andai subito da lui che mi tranquillizzò. “Mister non eravamo noi, ci siamo scambiati la maglia con quelli del Real Madrid...”».

 

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Il Messaggero