OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
Tutto il sito - Mese
6,99€ 1 € al mese x 12 mesi
oppure
1€ al mese per 6 mesi
Tutto il sito - Anno
79,99€ 9,99 € per 1 anno
«Ne avrei potute vincere altre due, almeno», ragiona Francesco Moser, 73 anni a giugno, mentre scruta il cielo tra le sue montagne del Trentino. «Appena torna un po’ di bel tempo riprendo la bici. Ma non tanto, mi concedo un paio d’ore al giorno. E rigorosamente con la bici elettrica, quando superi i settant’anni non si scherza mica».
È stata la sua corsa, la Parigi-Roubaix, e sì che di vittorie Francesco Moser ne ha messe in fila 273, in una carriera ricchissima. Dodici anni dopo Gimondi arrivò da solo al velodromo di Roubaix nel 1978, splendente nella maglia di campione del mondo - appena ombrata dal fango - conquistata l’anno prima in Venezuela. E arrivò solo anche nel 1979, e ancora nel 1980, un tris di vittorie solitarie mai riuscito ad alcuno. Rischiò di prendersi anche la quarta, in volata, se solo davanti a lui e De Vlaeminck – i soliti noti – non si fosse materializzato Bernard Hinault, che vinse e sentenziò: «Qui mai più, non è una corsa».
Il rito di quello che chiamarono l’Inferno del Nord si rinnova domenica nella Francia delle vecchie miniere di carbone, delle stradine sconnesse diventate patrimonio nazionale, un bene da difendere perché qui si celebra il mito e il mito non può scomparire sotto l’asfalto. «Parlavano tutti di questa Roubaix e mi dissi: e allora andiamo. E la prima rischiai pure di vincerla», era il 1974, non aveva ancora 23 anni, e se non gli fosse partita una ruota in curva nel finale magari avrebbe potuto lottare per il successo, Moser secondo al debutto. «Lì capii che si poteva fare.
L’uomo delle montagne filava divinamente sulla pianura annerita dove in quegli anni dettava legge Roger De Vlaeminck detto il Gitano, quattro vittorie che gli valsero il nomignolo di Monsieur Roubaix. Nel 1978 furono anche compagni di squadra. «Lo volle Sanson, il mio patron, Roger non aveva un team e venne nel mio. Ma non c’era verso di andare d’accordo. Non ascoltava, non amava le gerarchie. Non ci parlavamo, quasi». Quel giorno Moser attaccò per primo e fece il vuoto, e Roger non poté inseguirlo, anche se la leggenda vuole che abbia provato a convincere Freddy Maertens a riportarlo sotto. Non conferma, Moser: «Non so, sono solo voci. L’ho rivisto anche di recente, Roger: si lamenta ancora, non gli piace il ciclismo di oggi». E a lei piace? «Di sicuro non mi troverei bene in questo sistema. E non dico altro». Cioé? «Mah, adesso comandano i direttori sportivi. Ai miei tempi comandavamo noi corridori...». Allora avevano ragione a chiamarla lo Sceriffo. «Ah ah... furono Magrini e Rosola a tirar fuori quel soprannome». Ma ci sarà qualcuno che le piace? «Van der Poel sembra il più forte nelle corse di un giorno, Pogacar nelle gare a tappe. Poi ci sono Evenepoel, Roglic, Van Aert che cercano di inserirsi». Dai suoi anni, l’Italia ha vinto solo quattro volte a Roubaix, nelle classiche fatichiamo. Perché? «Non so, non mi occupo di organizzazione del ciclismo. Non abbiamo nemmeno una squadra, dai...»
Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero