Magari sarà l’impressione di un istante. Forse la sensazione di un momento. Probabilmente la suggestione di un giorno. Certo Leo Messi, oggi, e non da oggi, sembra il...
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
Tutto il sito - Mese
6,99€ 1 € al mese x 12 mesi
Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese
oppure
1€ al mese per 6 mesi
Tutto il sito - Anno
79,99€ 9,99 € per 1 anno
Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno
Così, nella notte passata, il fuoriclasse dalla barba lunga si è adagiato sulla schiena il pianeta dell’Argentina e l’ha accompagnato nell’orbita dei Mondiali della prossima estate – un Atlante colorato di bianco e di celeste. Nell’aria rarefatta di Quito, in volo a 2.850 metri di altitudine, ha segnato la rotondità di tre gol contro l’Ecuador (3-1) e ha regalato all’Albiceleste un accredito più inaspettato che atteso. Un esterno sinistro da cinque passi, ancora un sinistro a trafiggere l’incrocio, un terzo sinistro a planare: in cui era scritta la ricetta della felicità. E va anche annotato che l’Ecuador era passato in vantaggio grazie a Ibarra dopo 37 secondi (secondi, esatto).
Grandiosa è stata la festa argentina al fischio finale. Giocatori in lacrime in campo, sbalzi di pressione tra i tifosi, delirio di felicità nello spogliatoio. Messi, guarda un po’, per un’oretta ha addirittura dimenticato la solita maschera spenta e si è tramutato in un direttore d’orchestra. La festa la ritmava lui, mentre Dybala impazziva di gioia: ed era una danza densa di sentimenti, di emozione, di commozione, perfino. «Non meritavamo di non essere al Mondiale. È vero, c’era la paura di restare fuori», ha raccontato Leo. Poi ha fatto un pausa. In lui dev’essersi sciolto qualcosa: forse un’ambizione, gelata dai timori. Allora ha disegnato un gesto nell’aria leggera. Un’ombra di commozione gli ha velato il volto. «È stata una liberazione», ha sussurrato. Ed è volato via, lontano dal passato: ad accogliere l’arrivo di un qualche futuro. Potrà sognare ancora il Mondiale, sì.
Nel mare infinito della storia del pallone hanno galleggiato barche di ogni tipo e alle volte accade di non accorgersi della misura delle navi più grandi – oltre che del rapporto tra il presente e il passato. Questione di prospettive. A spasso per gli oceani viaggia la fantasia di Messi, inseguita e talvolta sorpassata dalla potenza di Cristiano Ronaldo. I bambini li adorano. E li adorano per una ragione meravigliosa e semplice – infantile, quindi. Su Messi, d’altronde, ricade la passione dei bimbi perché – magnificamente – sa tradurre in realtà la magia. Basta guardare lo scenario dell’altra notte. Vice campione del mondo, l’Argentina era reduce da una sconfitta e tre pareggi: ballava sull’orlo dell’eliminazione e, guidata dalle incertezze del ct Sampaoli, non riusciva più a riconoscersi in un’identità. Un quadro drammatico.
E, come sapete, a risolvere tutto – e ogni cosa – è stato il talento smisurato di Messi. Ancora una volta la squadra ha giocato male: e alle intenzioni non sono seguiti lampi di efficacia. D’un tratto, allora, Messi ha sistemato, scordando le delusioni degli ultimi mesi, le critiche ricevute, i passaggi a vuoto vissuti in albiceleste. Ha preso il pallone e ha promesso: «Ci penso io».
E mentre in uno stadio poco distante Falcao parlottava con gli avversari del Perù per azzerare i rischi di un’eliminazione, con tre tocchi magici Leo dimostrava che dove può lui, gli altri non possono. Il Cile, per capirsi, è stato eliminato in extremis proprio quando aveva l’urgenza di affidarsi a un Messi. Ma, del resto, Leo è come la fiaba secondo Chesterton. «La fiabe non insegnano ai bambini che i draghi esistono. Le fiabe insegnano ai bambini che i draghi possono essere sconfitti». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero