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Beto e Diego ne hanno riparlato per anni, di quella sera di settembre a Tokyo, nel 1979. Avevano appena vinto insieme il Mondiale under 20, erano a bordo piscina in un grande hotel: «Profondità sette metri. Diego fa uno dei suoi tanti scherzi, mi spinge in acqua. Ma io non so nuotare. Più annaspo, più lui ride. Rischio di affogare davvero, finché si tuffa e mi salva, per un pelo. Beto, mi fa: credevo scherzassi. Col cavolo. Abbiamo riso su questa cosa fino a poco tempo fa. Poi a un certo punto è sparito e nessuno di noi l’ha visto più. Eravamo amici, anzi fratelli, da quando avevamo 17 anni». Beto Barbas, 62 anni, ci risponde da una Buenos Aires caldissima, si parla solo di afa, di disoccupazione e dell’anniversario della morte di Diego.
Beto, lei come si sente?
«Come tanti argentini. Non posso ancora credere che Diego non ci sia più. Ne parliamo come se fosse vivo. Oltre a quello che ha dato a tutto il paese, ci guarda continuamente: dietro casa mia, come in ogni barrio di Buenos Aires o di ogni altra città, c’è un murale con la sua immagine. Qui i problemi aumentano. Il paese è in rovina, eppure anche oggi è giorno di festa. Qua si festeggia sempre e non si lavora mai. Io non lavoro da mesi, fare l’allenatore è un casino».
Lei è stato un giocatore sublime, e ha visto cose che noi umani non possiamo nemmeno immaginare.
«Con Diego ci conosciamo da ragazzi, lui nell’Argentinos Jr, un fenomeno già a 16 anni, io nel Racing. Avevamo in comune la fame, la povertà, la periferia: lui Villa Fiorito, io Villa Zagala, famiglie piene di fratelli, genitori con lavori minimi, i digiuni. Siamo diventati amici. Sua moglie Claudia è la madrina di mia figlia. Sempre insieme nelle ricorrenze. Un uomo generoso con tutti. E in campo faceva cose, Diego. Io posso dire di aver visto il miglior Maradona, non voi. Quello dei 18-20 anni. Dribblava tutte le difese e segnava. Non stava fermo un attimo, e voleva la palla addosso. Anche Menotti e Bilardo ci dicevano di dargliela comunque tanto era sempre marcato, poi ci avrebbe pensato lui. Ci faceva divertire e vincere, ci faceva guadagnare dei soldi. Al Mondiale 1982 si fece espellere contro il Brasile per vendicare un fallo di Batista su di me. Gli argentini lo amano e lo ameranno sempre più di Messi, che è un giocatore diverso. Un numero uno, ma più freddo».
Poi vi siete ritrovati in Italia.
«Cercò anche di portarmi a Napoli ma il Lecce non mi lasciò andare. Quanto mi sono divertito da voi, che giocatori. Adesso non ce ne sono più così. Posso fare un piccolo elenco? Platini, Zico, Passarella, Tardelli, Rossi, Careca, Van Basten, Gullit, Cerezo, Junior, Matthaeus… e ne dimentico tanti».
Quando poi Diego imboccò i suoi tunnel, c’era poco da fare?
«Sono risposte difficili, soltanto lui sa perché è finito così, dalla droga in poi.
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Il Messaggero