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La sconfitta è una cosa, l’umiliazione è ben altro. Paulo Fonseca quando perde, lo fa male: la sua squadra non gioca, sia arrende e spesso prende in faccia la valanga. Non è riuscito a trasmettere al gruppo una mentalità da grande. La Roma crolla al primo accenno di difficoltà, di rado ha tenuto botta. Con l’Ajax ad esempio c’è riuscita, anche con una buona dose di fortuna, specie ad Amsterdam. E spesso crolla quando meno te lo aspetti, quando sembra aver superato certe fragilità. La partita di Manchester è l’emblema: il crollo è avvenuto in una situazione di vantaggio. Nell’ultimo decennio, solo con Luis Enrique, all’epoca novizio, aveva subito questo tipo di pesanti umiliazioni, senza fare differenze, contro grandi (Juve) e piccole (Lecce, Atalanta, che non era a questi livelli), quella Roma ha chiuso il campionato (dopo essere stata eliminata dallo Slovan Bratislava ai preliminari di Europa League e dalla Juve nei quarti di Coppa Italia) settima con 56 punti. L’anno dopo, con Zeman (e Andreazzoli), sesta con 62, ma con la finale di Coppa Italia persa contro la Lazio. La Roma di Fonseca, che ha 55 punti, rischia il tracollo, restando fuori da una decente competizione europea, dal momento che le motivazioni sono finite e la squadra rischia di mollare con cinque giornate ancora da giocare (più il ritorno con lo United). Lo score contro lo United cancella quanto di buono fatto fino a quel momento nella competizione. La Roma di Fonseca, contro le big, è stata disastrosa, con le piccole trend altalenante. Il primo scricchiolio, lo scorso anno: Paulo torna da Reggio Emilia con un poker subito dal Sassuolo, quella fu la sera dello strappo con Petrachi. Da lì, altre due sconfitte di fila contro Bologna (in casa, 2-3) e a Bergamo (2-1), poco prima del lockdown.
POST LOKDOWN
Alla ripresa, pesanti le cadute con Milan e Udinese, entrambe per 2-0, per non parlare poi della fine della stagione con la debacle di Duisburg (2-0) contro il Siviglia, una gara, mai giocata davvero.
Il Messaggero