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Roberto Mancini non è più solo Mancio, come lo chiamano da una vita ex compagni e amici. Con affetto, prima che si sedesse sulla panchina della Nazionale. Adesso è anche Recordman e non c’entra il successo di Londra. Mai in azzurro, prima del suo insediamento, c’è stato un ct capace di ottenere un raccolto del genere: 34 partite senza perdere, a meno 1 dalla Spagna che tra il 2007 e il 2009 arrivò a 35; 13 vittorie consecutive, senza contare l’en plein nelle qualificazioni europee, con 10 su 10; 1168 minuti senza prendere gol fino a quello di Kalajdzic proprio a Wembley negli ottavi e 11 match di fila senza incassarne. Una striscia, dunque, tira l’altra. E il raccolto è al top. I suoi numeri sono migliori di quelli di Pozzo, due volte campione del mondo, e di Lippi, un mondiale vinto. In 3 anni e 2 mesi ha insomma conquistato l’Italia. Non con le cifre e con i risultati (2 ko in 39 partite). Con le prestazioni.
VALUTAZIONE QUOTIDIANA
Mancini ha scelto i giocatori e a quelli ha trasmesso, nel trienno della sua gestione, i principi fondamentali della sua idea di calcio. Ne ha convocati 77, utilizzandone 67, con 35 debuttanti. Li ha chiamati per vederli e valutarli. Ha saputo quando insistere e quando prendere tempo. Non ha scaricato i senatori, tant’è vero che ha aspettato Chiellini, non al top prima dell’Europeo, e lo stesso Verratti, inserito nella lista dei 26 nonostante fosse ancora convalescente.
SCELTA DEFINITIVA
Il ct ha cambiato e provato. Ha insistito ed è tornato indietro. Si è preso il giusto tempo per decidere quale strada intraprendere. Le somme le ha tirate quando ha deciso che la formula migliore fosse il 4-3-3 dinamico. Da spiegare perché non è poi così difficile da comprendere. L’Italia in campo ha coraggio e quindi attacca. Lo fa con più giocatori. In fase offensiva ecco il 3-2-5. Si crea di più, si rischia meno. Restano dietro tre difensori, a centrocampo solo due giocatori, davanti un terzino, due esterni, il centravanti e una mezzala. Prendiamo i titolari in campo contro l’Inghilterra. Davanti a Donnarumma sono rimasti Di Lorenzo, Bonucci e Chiellini; in mezzo Jorginho e Verratti; davanti, da destra, Chiesa, Barella, Immobile, Insigne ed Emerson. Entrando nello specifico: a destra resta largo l’esterno, permettendo l’inserimento di Barella, visto che da quel lato non scende il terzino. A sinistra si accentra Insigne per far passare Emerson, fino ai quarti Spinazzola. La svolta il 10 ottobre 2018 a Marassi contro l’Ucraina di Shevchenko: da quel giorno il centrocampo ha il suo trio di riferimento. Barella, Jorginho e Verratti: doppio play e incursore. Alle loro spalle crescono Zaniolo, Locatelli, Pellegrini, Sensi, Pessina e Cristante. Non è una data qualsiasi. È lì che il ct chiarisce al gruppo di volere l’Italia che domina e si diverte. Da quella sera l’Italia non perde più. Nella circostanza gioca senza centravanti. La girandola offensiva chiama in causa Chiesa, Bernardeschi e Insigne. Contro la Spagna e l’Inghilterra ha usato il falso nove in corsa. A Wembley la mossa ha cambiato il match. Fiducia a Immobile, ma anche senza centravanti si può attaccare e vincere. E senza per forza arrivare fino ai rigori.
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Il Messaggero