«Quando non voglio più giocare a calcio mi prenderò il tempo per bere una birra o del vino e ripenserò a tutti i momenti che ho vissuto. Ma io non sono ancora finito. Soltanto...
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Il 36enne tedesco rivive l'esperienza della vittoria della Coppa del Mondo e l'addio alla 'Mannschaft': «Ero in vacanza in Sardegna e ho preso una barca per andare a pesca - rivela -. Ero quasi da solo, c'era solo il conducente della barca. Mi sono seduto e ho iniziato a rivangare i ricordi. Il numero di partite: 137 in totale. E 1+3+7, fa 11. Questo è il mio numero.
Mi sono detto: 'va bene, è un grande momento per smetterè (ride). L'allenatore l'ha sentito bene così quando l'ho incontrato per dirgli della mia scelta. Sa che io resterò sulla mia decisione. Non sono mai tornato sulle mie parole». Il biancoceleste, quindi, ripercorre la sua carriera, svelando il segreto della sua costanza e professionalità. «Ho iniziato a giocare al Kaiserslautern - ricorda - Quando ci allenavamo e i più anziani tiravano alto o fuori, io dovevo andare a cercare i palloni, raccoglierli e, alla fine, riportarli nello spogliatoio. Oggi il calciatore non impara a fare le piccole cose che erano importanti per me. Quando facevo un tunnel a un giocatore più anziano mi malmenava al punto che avevo quasi un velo nero davanti ai miei occhi (ride). È tutto finito. Piuttosto sentiamo cose come: 'fermati, è costato 20 milioni, si deve stare attenti'». I giovani calciatori oggi sono coccolati? «Quando i giocatori di 17-18 anni si allenano con i professionisti o viaggiano con loro, dormono nei migliori alberghi, mangiano il cibo più delizioso, sono trasportati in autobus, in treno o in aereo - spiega -. E tutto va liscio. Devono saper tenere i piedi per terra ed essere responsabili e non tutti lo sono». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero