​​Klopp da urlo: bel gioco, rimonte impossibili e l'impresa di ingabbiare la «pulce» Messi. Ora il tabù finale

Klopp da urlo: bel gioco, rimonte impossibili e l'impresa di ingabbiare la «pulce» Messi. Ora il tabù finale
Vincerà anche poco, sì. Sarà pure più bravo a viaggiare che ad arrivare. Gli piacerà più costruire che inaugurare: il cammino che la...

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Vincerà anche poco, sì. Sarà pure più bravo a viaggiare che ad arrivare. Gli piacerà più costruire che inaugurare: il cammino che la meta. Però Jurgen Klopp conosce il segreto della bellezza intrecciata al calcio. E delizia, e stupisce, e sbalordisce. In una sola parola: meraviglia. Immenso è stato il Liverpool, ieri sera: ha ribaltato un risultato improponibile – uno 0-3 senza storia – si è regalato l’accredito per la seconda finale di Champions League in sequenza e, soprattutto, con la genialità e il sorriso di chi non si prende (troppo) sul serio ha saputo ipnotizzare Leo Messi e il Barcellona, lasciandoli risvegliare soltanto quando ormai era troppo tardi. Origi, belga, classe 1995, ha aperto e sigillato la notte perfetta, indovinando il quarto gol – il timbro decisivo – grazie a un calcio d’angolo battuto in velocità da Alexander-Arnold. 


Barça presidiante ma distratto, ter Stegen inerme, Piqué a cercare gloria sotto forma di un estremo tentativo di intervento. Tutto vano, però. Implacabili sono stati Origi e, come detto, da Alexander-Arnold, 20 anni appena. Una furbizia – però non una furbata – che molto ha ricordato l’azione di un gol realizzato nel 2008 dalla Roma contro il Palermo: con il brasiliano Mancini rapidissimo nel girare in porta di testa un angolo battuto a velocità supersonica da Taddei, sfruttando la complicità di un piccolo raccattapalle che si chiamava (e si chiama) Gianluca Caprari.

Così, in una notte illuminata dalla magia, Klopp ha stupito perfino se stesso. Non potendo disporre di due tipetti come Salah e Firmino, ha disegnato un 4-3-3 trascinato da Shaqiri, Mané e appunto Origi, riuscendo nell’impossibile di prosciugare le fonti del gioco blaugrana, di isolare Messi, di azzerare Suarez, di ridurre al nulla l’ex Coutinho. Come nei quarti di Champions dell’anno scorso contro la Roma, il Barcellona una volta di più ha ceduto di schianto, seppellito da una rimonta tanto scenograficamente esaltante quanto tatticamente inquietante. Certo, a ripensare ora a quell’errore di Dembelé, solo davanti a Alisson, al Camp Nou, al 95’, a un soffio dal 4-0 nella partita di andata...

Aveva ragione Salah, ieri sera, in tribuna, a indossare la maglietta con la scrittona «Never give up»: e cioè «mai arrendersi». Klopp, 52 anni a giugno, di capolavori simili già ne aveva compiuti, del resto. Tedesco di nascita ma non di concetto calcistico, nell’Europa League del 2016, proprio contro il suo ex Borussia Dortmund, aveva saputo risalire l’abisso di un 1-3 al 57’ della gara di ritorno, ribaltandolo in un 4-3 definitivo. 


Si diceva della seconda finale di fila. Nella mente di Jurgen, inevitabilmente, si ripeterà il ricordo delle tante finali perse: quella di Champions con il Borussia Dortmund nel 2013, ancora quella di Champions dello scorso anno con i Reds,  quella di Europa League del 2016, quella della Coppa di Lega inglese di nuovo nel 2016. Adesso Madrid, la città della finalissima del 1° giugno, è lì: a dettare un destino. Giocherà elegante e vincerà pure poco, Klopp, sì. Ma i 55 mila privilegiati di Anfield, ieri, hanno assistito alla Storia che accadeva: e chissà il loro cuore, che ricordi.
Benedetto Saccà Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero