Fioravanti: «Da Roma a Tokyo, alla ricerca dell'onda perfetta»

Fioravanti: «Da Roma a Tokyo, alla ricerca dell'onda perfetta»
A inizio giugno ha visto il sogno olimpico affondare nelle acque di El Salvador. Il 15 giugno ha iniziato a sperare, quando il suo nome è stato inserito tra le riserve per...

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A inizio giugno ha visto il sogno olimpico affondare nelle acque di El Salvador. Il 15 giugno ha iniziato a sperare, quando il suo nome è stato inserito tra le riserve per Tokyo. Il 2 luglio l’infortunio del sudafricano Jordy Smith lo ha catapultato virtualmente sulla tavola per il battesimo a cinque cerchi del surf. 


Leonardo Fioravanti, com’è stato passare due settimane con le dita incrociate?
«La fase più difficile è stata quella precedente: accettare di aver fallito ai Mondiali, mancando il pass. Quando ho saputo di essere tra le riserve, ho iniziato a sperarci ma mentalmente ero già a Parigi 2024. Poi è arrivato questo “mega-bonus”. Le Olimpiadi sono un sogno, spiace solo andarci per l’infortunio di un altro atleta».


Comunque sia: il surf debutta ai Giochi e lei ci sarà...
«È dal 2016, da quando si è saputo che avremmo debuttato ai Giochi, che ho iniziato a pensare a questo momento. Per questo non accettavo di non essermi qualificato. Pensavo: “cavolo, sono numero 17 al mondo...”. Ora posso giocarmi le mia chance».


Sarà l’unico azzurro: sente il peso del movimento sulle spalle?
«La pressione la sento sempre. Per fortuna ho tanti tifosi che mi seguono durante l’anno sia fisicamente che online e questo mi responsabilizza quando gareggio. A Tokyo trasformerò questa pressione in carica».


Dalla costa laziale, per lei che è romano, al Giappone: non male come viaggio... 
«Precisamente da Cerenova. Il viaggio è cominciato all’Oceansurf, uno stabilimento di Marina di Cerveteri. Surfavo con mio fratello Matteo. Poi, piano piano, abbiamo iniziato a spostarci. Partendo dalla Francia, a Biarritz, dove avevamo degli amici. I miei genitori hanno capito che la strada era quella giusta». 


È “fuggito” dal paradiso dei surfisti? Lo sa che il Financial Times ha definito così il litorale laziale?
«Un tantino esagerato, soprattutto perché purtroppo non abbiamo le onde tutti i giorni. Però è vero che è una zona piena di gente sulla tavola. Lo specchio di un movimento che cresce. E chissà che una mia medaglia non lo faccia crescere ancora di più».


Torniamo a Biarritz...
«Ho iniziato a crescere come atleta, sono arrivati i primi sponsor, sono entrato nel team Red Bull e ho iniziato a viaggiare in giro per l’Europa e poi per il mondo. Ma il viaggio è ancora lungo».


Era molto giovane: più spericolato un ragazzino che sale sulla tavola o un genitore che lo incoraggia a farlo?
«Non lo so, però senza i miei genitori non sarei diventato quello che sono. Per chi vive alle Hawaii o in Australia è facile: esci di casa e sbatti sulle onde. In Italia se non hai la famiglia che ti appoggia non puoi dedicarti a questo sport ad alto livello». 


Quando ha capito che l’appoggio della sua famiglia era incondizionato?
«Quando mi hanno tirato fuori dalla scuola per permettermi di viaggiare e seguire le onde. I miei genitori non stanno insieme e mia madre ha lasciato la sua vita per viaggiare con a me». 


E con la scuola com’è finita?
«Didattica via Skype, con gli esami da privatista. Precursore di quello che è successo in lockdown».


Ha paura che il palcoscenico olimpico possa snaturare il lato selvaggio del surf?
«C’è chi cavalca questa polemica, come nello skate. Ma la realtà è che lo fa chi non vive la tavola a livello agonistico. Chi vive il surf o lo skate da atleta rinuncia a prescindere al lato ribelle e festaiolo. Se non ti alleni con rigore la nuova generazione ti scavalca subito». 


La nuova generazione? Lei ha 23 anni...
«Certo, ci sono quelli di 18 che già spaccano. Bisogna sempre spingere oltre il proprio livello».


Il surf è una filosofia di vita prima di essere uno sport?
«La tavola ti cambia la vita. Ti permette di viaggiare, di conoscere persone e culture molto diverse».


A lei cos’ha dato?
«Tutto. Un lavoro che amo, amici in ogni parte del mondo, la possibilità di vedere posti stupendi, la capacità di parlare cinque lingue (italiano, inglese, francese, spagnolo e portoghese».


Cos’è l’acqua per lei?
«Il posto in cui mi rilasso. Paradossale, no? In mezzo alla forza delle onde riesco a lasciarmi alle spalle qualsiasi problema».


A Tokyo l’importante è...?


«Partecipare? No, l’importante è vincere». 


E se la ride. 

 

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Il Messaggero