Andrea Agnelli : «La Lega? Da rifondare» «Con la Roma grande sfida» Di M.Caputi

Andrea Agnelli : «La Lega? Da rifondare» «Con la Roma grande sfida» Di M.Caputi
TORINO Sereno, disponibile, Andrea Agnelli é pronto a parlare di tutto, senza fronzoli e frasi di circostanza. Presidente...

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TORINO Sereno, disponibile, Andrea Agnelli é pronto a parlare di tutto, senza fronzoli e frasi di circostanza.




Presidente Agnelli, qual è il bilancio sportivo dell'anno solare?

«Certamente positivo. Siamo Campioni d'Italia, abbiamo conquistato la Supercoppa italiana e chiudiamo primi in classifica a più 5 dalla seconda. In Champions siamo stati battuti dal Bayern Monaco, arrivando tra le prime otto, e poi nella fase a gironi. C'è, inevitabile, un poco di delusione per l'ultima eliminazione maturata, non nella gara conclusiva con il Galatasaray, ma nella prima con il Copenaghen».



Cos'è mancato in Europa?

«Nei mesi di settembre e ottobre la squadra si stava assestando, poi, dopo la Fiorentina, ha trovato il giusto equilibrio, i risultati ottenuti in campionato e Coppa Italia parlano chiari. Non ritengo giusto giudicare una squadra per una rete presa al 91esimo. Non bisogna dimenticare il percorso di crescita, da vittorie e sconfitte bisogna sempre trarre il massimo».



Viene da pensare che il livello del calcio italiano sia inferiore a quello europeo.

«Ci sono due elementi di descrizione. Il primo: il calcio italiano è visto dai campioni come un campionato di transito e non una destinazione finale. Il secondo: al momento la nostra dimensione è fare bene in Europa League. É un problema di aspettative, non è come dieci anni fa quando portavamo3/4 formazioni nelle semifinali di Champions».



Come si riformano il calcio italiano e la Lega Calcio?

«La Lega può crescere in maniera esponenziale, deve assolutamente managerializzarsi, dotarsi di una struttura più capace per agire su vari fronti, aprirsi al confronto e darsi delle regole precise per alzare lo standard qualitativo del nostro calcio. Non possiamo permetterci manti erbosi ed illuminazioni che non siano da serie A. Il prodotto calcio va in scena negli stadi, quindi vanno bene quelli nuovi, così come ristrutturare gli esistenti».



Quanto sono importanti gli stadi per la crescita dei club?

«Sono fondamentali. Lo vediamo con il nostro impianto che, salvo rari casi, sopporta una capacità di saturazione molto alta. Quando lo abbiamo inaugurato ho ragionato come se si dovesse riqualificare un'area urbana, rendendola migliore cambiano i fruitori e così il loro comportamento. I nostri stadi devono diventare un punto d'attrazione come il centro di una città, dove possano convivere sia i tifosi tradizionali sia le famiglie e i bambini con una serie di servizi».



L'emendamento che ha modificato la legge sugli stadi divide i presidenti.

«Dal punto di vista del Coni ritengo sia stato fatto un buon lavoro, capace di incentivare tanti investimenti nell'ambito dell'impiantistica in generale, dalla palestra all'impianto da 15-20 mila persone. Non dimentichiamo che quando si muove il Coni lo fa per tutti, non solo per il calcio. Diversa è la valutazione sulle facilitazioni legate alla costruzione dell'impianto. Le nostre furono molto bilanciate».



Torniamo alla Lega e alle le riforme possibili.

«Una Lega ristrutturata permetterebbe di essere più compatti sulle modifiche, ad esempio quella della legge 91/81, ormai arcaica e obsoleta, che va riscritta. Poi c'è il tema della fiscalità sulle operazioni dei procuratori. Se eliminassimo la figura del calciatore come dipendente, verrebbe meno il problema. Si può e si deve lavorare sulla protezione dei marchi in accordo con l'industria della moda. Dobbiamo capire che oggi il nostro fatturato è al 65-70 per cento proviene dai diritti tv e il restante da stadio e commerciale. Dobbiamo cercare un bilanciamento: un terzo per ogni ambito».



Come giudica l’accordo sui diritti tv?

«L’accordo è più che buono, il punto di partenza deve essere quello di fine agosto. Il meccanismo è atipico, l’attuale advisor aveva un anno di contratto con clausole a suo totale vantaggio, ad esempio quella che impediva di prendere contatto con altri sino al 30 giugno 2016. Il punto di atterraggio è buono, dà maggiori garanzie a quei club che cercavano un minimo garantito più alto. Per il prossimo triennio passiamo a 980 milioni di euro a fronte dei precedenti 1.026, la crescita andrà quindi cercata all’estero. Ciò che conta non é l’aspetto economico, ma l’introduzione di un metodo di lavoro, di un confronto aperto tra le parti che ci ha permesso di invitare i broadcaster italiani, il distributore estero e i consulenti, ascoltarne i punti di vista, per arrivare a una conclusione soddisfacente».



E la giustizia sportiva?

«È difficile entrare nel merito. Il presidente Malagò l'ha presa molto a cuore, vedremo che cosa comporterà la figura del super procuratore generale, con la definizione dei suoi poteri».



Il suo giudizio sul presidente Beretta?

«La sua figura è stata utile in passato. Ma non è il presidente adatto al cambiamento, non è presente, non è intraprendente, né rappresentativo delle esigenze del calcio. A capo della Lega ci deve essere un presidente, con un amministratore delegato che pensi allo sviluppo del business».



Lei lo farebbe?

«No, non sarebbe giusto che lo sia un presidente di un grande club, meglio di uno medio. La Juventus non ha bisogno di una sedia in consiglio, ma di essere parte attiva e riconosciuta».



La Juventus è un modello?

«Non sta a me dirlo. Vogliamo essere una società competitiva e vincente, con un autofinanziamento tale da consentirci di crescere in modo adeguato».



Come è cambiata la società dal suo arrivo?

«Innanzitutto è cambiata la prima linea del management, abbiamo ripreso la cultura del lavoro. Quando sono diventato presidente il sabato la sede era chiusa, sprangata per 24 ore. Ora si lavora per sette giorni, e il sabato ci sono 25-30 persone, le riunioni iniziano alle 8 di mattina. Abbiamo riportato il dna Juve, completandolo con l'arrivo di Conte, che è la trasposizione sul campo del mio modo di lavorare in società».



Per lei non c'è solo la Juventus.

«Ho molto a cuore l’attività di Lamse, una holding finanziaria costituita nel 2007 con mia sorella. E' una piccola struttura che sta dando risultati incoraggianti, con un ritorno sugli investimenti del 2-3%. Che di questi tempi non è poco».



Torniamo al calcio, Conte rimane?

«Certo, sarà ancora lui l'allenatore del futuro. Il suo contratto scade nel 2015, perciò ne parleremo a tempo debito».



E Pirlo?

«È un calciatore straordinario. Qui si deve sentire come a casa sua. C'incontreremo a febbraio, al più tardi a marzo».



Alla ripresa ci sarà Juventus-Roma, un duello storico che si ripresenta.

«La Roma sta facendo molto bene. La proprietà ha dato un’impostazione chiara e la sta portando avanti con decisione. Abbiamo dialogato molto in questi mesi. Nella sfortuna della sconfitta in Coppa Italia ha avuto lo slancio per entrare con decisione nelle situazioni difficili. C'è ambizione, la squadra è ottima con calciatori giovani di talento e altri di grande esperienza. Totti e De Rossi sono campioni veri. Ora hanno grande entusiasmo. Li temiamo, come temiamo il Napoli».



Che gara si aspetta?

«Bella sul campo e sugli spalti. Mi piacerebbe un clima di festa ma è difficile che i nostri tifosi cantino cori in favore dei romanisti e viceversa. La vorrei senza odio e con la mia Juve vincente».



Totti lo porterebbe al Mondiale?

«Se gioca così è un piacere per tutti, il Ct farà le sue riflessioni».



Qual’è il suo sogno di presidente?

«Non ci sono sogni, l’obiettivo è la vittoria in campo e nelle innovazioni fuori dal terreno di gioco».



Che cosa pensa del razzismo e della chiusura delle curve?

«Noi tutti, come società e come cittadini, dobbiamo essere fermamente contro ogni forma di razzismo. La Uefa ha regole chiare in materia, da noi c’è anche la discriminazione territoriale che va assolutamente rivista. Si torna ai meccanismi che non funzionano e a una Lega assente nel Consiglio Federale. La norma c’era anche prima e la sanzione è stata rivista in agosto, passando da pecuniaria a disciplinare. E’ stata accettata e ora non possiamo dire che non funziona».



Si riparla di calcioscommesse.

«È un’amarezza incredibile. Noi lavoriamo con i sogni della gente, arrangiare un risultato vuol dire uccidere quel sogno e tradire il sentimento dei tifosi. Importante e non fare processi mediatici, ma se qualcosa è accaduto condanna assoluta».



Come fa a scindere la figura di presidente da quella del tifoso?

«Ho chiesto esplicitamente di non avere ruolo istituzionali due ore prima e due ore dopo la partita. Al di fuori di questo spazio prevale la capacità decisionale del manager».



A proposito di tifosi, da qualche tempo ne abbiamo uno particolarmente illustre, Papa Francesco.


«Ho avuto la fortuna d’incontrarlo, mi ha colpito. Trasmette una profonda umanità, la serenità di affrontare i problemi con la speranza di potercela fare».



Massimo Caputi ( ha collaborato Luca Pasquaretta) Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero