Ibra, Conte e Fognini: l’insulto è live e riempie d’imbarazzo gli stadi vuoti

Ibra, Conte e Fognini: l’insulto è live e riempie d’imbarazzo gli stadi vuoti
Che poi i contenuti non è certo che siano un granché: la mamma che fa i riti voodoo e che non si può nominare sennò finisce male, l’arbitro da...

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Che poi i contenuti non è certo che siano un granché: la mamma che fa i riti voodoo e che non si può nominare sennò finisce male, l’arbitro da rispettare, i genitali in tutte le loro accezioni, il (scusate) culo. Dimenticavo: il dito medio alzato. Almeno la signora palesemente sbronza che ieri a Melbourne si è fatta inquadrare mentre ripetutamente lo indirizzava (il dito) verso Nadal non si è nascosta: anzi era ben felice di provocare colui che così, un tanto al chilo, non è il tennista da lei più amato. Antonio Conte invece, il dito incriminato, lo ha mostrato ad Andrea Agnelli facendo finta di celarlo, in un tentativo malriuscito di mostrare riservatezza (chissà ora cosa diranno alla Procura federale che ha aperto un’inchiesta). Ci sono microfoni ovunque, telecamere ancora di più e soprattutto non c’è il pubblico a fare da spessore acustico, o ce n’è pochissimo che più o meno è la stessa cosa. Ma il mood contemporaneo è che nello sport (pure in quello dei fu-gesti bianchi) ci si manda affa senza ritegno, senza attivare i neuroni qualora ci siano. Ritenendo, probabilmente, che lo stile Grande Fratello sia l’unico linguaggio possibile: se sono Ibra e mi passa per la testa che la mamma di Lukaku è una sacerdotessa voodoo la tiro in ballo e se mi inquadrano sono io che sono fico e poi faccio sempre in tempo a scusarmi. Però ho mostrato il testosterone che so disperdere nell’aere e andrò pure a Sanremo. 


SCINTILLE A MELBOURNE

Il litigio a match concluso fra Fognini e Caruso (il primo vincente al tie break del 5°set per 14-12) è godibile in rete con tanto di traslitterazione parola per parola. Dal che si evince, ad onor del vero, una diversa consistenza stilistico-verbale fra i due contendenti. Uno (Caruso) che spiega come non si aspettasse dall’ “amico” di sentirsi definire fortunato a più riprese durante il tie break; l’altro (Fognini) che risponde ripetutamente «Perché non posso dirti che hai culo?» con una pervicacia più consona ad una rissa davanti al Bar Mario dopo uno scopone perso e tre quartini di rosso della cantina sociale che non ad uno dei tornei più importanti del mondo. Figura meschina, comunque. Oddio: non è che nel tennis non sia mai successo qualcosa del genere. Nella finale del Foro Italico del ’55 Beppe Merlo (uno che faceva di default imbestialire gli avversari) stramazzò a terra dolorante e il suo avversario e connazionale Fausto Gardini gli pallonzolò intorno dicendogli non già “come stai” ma “ritirati!”. Scatenando una bagarre sugli spalti. Ma la sensazione è che le presenze di cui sopra (microfoni, telecamere) senza le persone che fanno spessore sulle tribune portano a galla il fatto che dopo un anno di pandemia siamo per nulla usciti migliori. Solo c’è più testosterone di prima e la (triste) convinzione che lo slang da ingorgo in auto sia il migliore possibile per mostrare di essere dei duri. Anche se si gioca a pallone, a tennis o se si è seduti in tribuna. O sei così o sei un perdente. La soluzione? Adattiamoci tutti: lei, si proprio lei che sta leggendo non è d’accordo? Allora sa cosa le dico? (omissis).

 

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Il Messaggero