Il fallimento internazionale della filosofia cholista

Il fallimento internazionale della filosofia cholista
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La lezione che arriva dalla finale di Milano, quella che ha consegnato per l'undicesima volta la Champions League (Coppa dei Campioni) al Real Madrid, è che il Cholismo è filosofia che non riesce ad andare oltre i confini nazionali. È vero, l'Atletico di Madrid con Diego Simeone in panchina ha vinto, nel 2012, una Europa League. Che, ne converrete, è poca cosa quando/se si arriva a giocare per due volte in tre anni l'ultima partita della Champions senza mai riuscire a vincerla. Non può essere più un caso, al netto degli episodi che hanno segnato e determinato gli epiloghi delle finali di Lisbona e del Meazza, che sistematicamente l'Atletico perda e che il Real vinca. Cioè che il calcio brutto, sporco e cattivo vada a picco e che quello spocchioso, lezioso e a tratti indisponente trionfi. Segno, dunque, che conta ancora più la classe che la forza? Che il saper toccare, accarezzare il pallone sia più determinante che prenderlo a calci? Sul piano estetico, il Cholismo non ha mai regalato nulla: difesa e contropiede, ecco la sintesi. Catenaccio organizzato, ad essere più buoni. Un calcio non bello, ma redditizio. Ma non a livello continentale, dove per essere i migliori non si può fare a meno delle qualità. La quantità conta, ma serve di più la qualità. E basta controllare l'albo d'oro della manifestazione per rendersi conto che, soprattutto negli ultimi anni, hanno vinto i club dei grandi calciatori, Da Ronaldo a Messi, da Drogba a Robben. E che l'Atletico o il Borussia Dortmund, fortissimi in Spagna e Germania, devo accontentaRsi della medaglia d'argento.
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Il Messaggero