La domanda è sempre la stessa da più di un secolo: conta di più il gioco o il risultato? Ci sono tre tecnici, tre allenatori, che sono riusciti a mettere...
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acchi, Ancelotti e Guardiola - insieme per una pomeriggio sul palco dell'Auditorium di Santa Chiara a Trento per il Festival dello Sport organizzato da Gazzetta e Trentino - una risposta ce l'hanno da sempre: prima viene il gioco, poi il risultato. Che non significa che conta più il primo del secondo, ma solo che il secondo sarà sempre 'figliò del primo. Forse è anche per questo che il pallone made in Italy oggi annaspa, spiega Sacchi: «L'Italia non è tra i Paesi calcisticamente più evoluti, ha una resistenza culturale al cambiamento, una visione che le impedisce di avvicinarsi al futuro, ma guarda piuttosto al passato», dice ricordando che «solitamente chi gioca meglio vince, ma soprattutto chi vince giocando bene acquisisce un'autorità morale che chi vince giocando male non acquisirà mai». Pep Guardiola rende onore a Cruyff («ci ha aperto gli occhi e fatto capire cos'era il nuovo calcio»), bacchetta quanti sintetizzano con il semplicistico tiqui-taca la sua rivoluzione («è un termine che non mi è mai piaciuto, troppo scherzoso») e veste i panni della modestia ripercorrendo i suoi straordinari successi: «Io non ho inventato nulla, ho solo avuto la fortuna di avere 7-8 giocatori che sono cresciuti nella cantera, che giocavano insieme da quando avevano 8-10 anni, diciamo che c'è stata una combinazione di fuoriclasse e questo non capita spesso. Oltre a questo avevano, avevamo, voglia di mangiarci il mondo. Il nostro sistema di gioco ci permetteva di far girare la palla per portarla dove volevamo, tutto qui. Sono però contento che sia stato apprezzato. Se tra 20 anni si parlerà ancora di questa squadra significherà che qualcosa di buono abbiamo fatto», ha aggiunto Pep che non chiude in futuro alla Serie A:
«Perchè no? Anni fa - ricorda - mi chiesero se mai sarei andato ad allenare in Germania», («Lascia stare», lo interrompe con una battuta Carlo Ancelotti). «Eppure - prosegue Guardiola - anni dopo ci sono andato per davvero, quindi rispondo perchè no? Chi lo avrebbe detto che avrei imparato il tedesco. L'Italia resta un'opzione. E poi si mangia tanto bene», conclude Guardiola che parla di crisi passeggera per il calcio italiano: «Restate un grande Paese, ora serve riflessione ma siete un Paese che vinto tanto e per tanti decenni, avete vinto a livello di nazionali e di club - conclude - Sento dire che l'Italia ha un calcio difensivo ma difendere bene è una grande qualità e voi siete maestri in questo. Difendere bene è un talento, tutti noi allenatori siamo ossessionati dall'idea di non prendere gol, sono solo modi diversi di difendersi. L'insuccesso del Mondiale è un momento così, è capitato anche all'Argentina, alla Pellegrini: ha vinto tanto ma anche perso e questo non le ha impedito di vincere di nuovo. A volte capitano periodo così, tecnici e federazioni devono trovare le risposte giuste ma voi avete qualità speciali». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero