Giancarlo Oddi: «Di padre in figlio è l'eredità di Pino, l'iniziativa del 2014 fu un altro scudetto»

Oddi e Wilson
Distrutto, dilaniato, affranto. E’ senza parole Giancarlo Oddi, lui che di solito, da buon romano, è sempre quello che deve avere l’ultima parola. La battuta...

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Distrutto, dilaniato, affranto. E’ senza parole Giancarlo Oddi, lui che di solito, da buon romano, è sempre quello che deve avere l’ultima parola. La battuta finale. Quella sua classica stilettata ironica che lascia tutti senza fiato. Ma non c’è. E’ fermo, in silenzio, qualche pensiero confuso e ricordo buttato lì. E’ scosso, tanto. Il suo inseparabile amico, compagno e capitano Pino Wilson, non c’è più, ha salutato tutti all’improvviso, senza avvisare e senza che nessuno si preoccupasse che qualcosa potesse accadere. Il capitano di quella fantastica e leggendaria squadra che ha vinto lo scudetto nel 1974, il suo amico e compagno di vita non c’è più. «Mamma mia, Pino è morto. Sono annientato, ‘sto sotto a un treno, non riesco a credere che Pino non ci sia più. Si dice sempre: Laziale bella gente, ma tremendamente maledetta. Come la nostra banda. Inutile dire altro. Io l’ho sempre detto, la morte arriva quando deve arrivare senza nessun annuncio e non è una casualità».


Però così fa male...
«Sì, e anche tanto. Troppo. Non riesco nemmeno a dire mezza parola (singhiozza, ndr). Abbiamo giocato e scherzato con Pino in trasmissione sino a martedì sera. Eravamo pronti già alla prossima puntata. Nulla per me sarà più uguale a prima. Non so proprio come sia possibile una cosa del genere».
Oddi, Wilson la riprenderebbe di fronte a questa tristezza.
«Sì, è vero, mi avrebbe fatto qualche battuta delle sue. Noi ci punzecchiavamo sempre. Io gli dicevo dei capelli, che doveva fare attenzione al vento che gli si scombinavano. Cercavamo di sdrammatizzare la vita, ma la morte è molto più dura».
Soprattutto per chi l’ha vissuta così intensamente e sempre col sorriso sulle labbra...
«L’età avanza. Noi cercavamo di far vedere sempre di essere giovani. Invece siamo anziani e dobbiamo farcene una ragione. Pino se n’è andato così dall’oggi al domani, in un giorno e mezzo di ospedale e mi ha tolto ogni parola. Non si possono spiegare le sensazioni che provo in questo momento. Ho passato tutta la giornata in camera ardente e non riuscivo più a tornare a casa con mia moglie Maria».
Per lei era come un fratello?
«Si, ha detto bene, un fratello. Un’amicizia lunga da quando eravamo giovani, anche se lui era più grande di me e glielo ricordavo sempre. Anche dopo il calcio giocato ci vedevamo tutti i giorni, non passavamo una settimana a distanza. Lui era il più furbo, glielo dicevo sempre che ci avrebbe messo tutti nella fossa. E lui aveva la battuta pronta, da napoletano verace. Gli dicevo: “tu non sai nemmeno cosa sia l’Inghilterra, altro che terra di nascita”».
Rimarrà a Roma, forse nella cappella di Tommaso Maestrelli.
«Magari. Sarebbe bello con il Maestro e Chinaglia. Quella squadra si sta spegnendo piano piano, ma rimarrà leggenda, nella storia. Non smetterà mai di essere ricordata perché è stata unica per le persone che ne facevano parte e per quello che abbiano fatto».
Qual è il ricordo più bello?
«Il ricordo più bello è stato quando ha alzato lo scudetto al cielo. E’ impresso nella mia mente, come fosse ieri. Lui era il capitano, quella fascia ce l’aveva tatuata, non gli era stata consegnata. Per tutti è stato il momento più bello della carriera, ma anche della vita. Dio mio le cose che abbiamo fatto in quegli anni, ma anche dopo, sembrava quasi non aver mai smesso. Sempre insieme, sempre con la Lazio e le nostre vite nel cuore. Molto cambierà, almeno per me perché una parte importante della mia vita non c’è più. Un pezzo fondamentale».
Nel 2014 arrivò “Di padre in figlio” con l’Olimpico stracolmo.

«Mamma mia. E’ stata una cosa incredibile, non ci credevamo nemmeno noi di riabbracciare così tanta gente e trasmettere così tanta lazialità. Era un decennio che non si respirava qualcosa di simile a Roma. Fu una giornata meravigliosa e quanto era contento di quello che era successo, con tutta quella gente allo stadio. Quando a Pino venne l’idea, non aveva mai pensato a un successo così clamoroso che ancora si ricorda. Fu un altro scudetto della gente». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero