Gabriele Paparelli: «Pino era il mio eroe, non è mai mancato un 28 ottobre»

Lotito e Paparelli (foto Rosi)
L’immagine sotto la Curva Nord: Pino Wilson, accerchiato da tre tifosi a bordo campo, in un momento concitato, prova a placare il caos. È il 28 ottobre del 1979, il...

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L’immagine sotto la Curva Nord: Pino Wilson, accerchiato da tre tifosi a bordo campo, in un momento concitato, prova a placare il caos. È il 28 ottobre del 1979, il tifoso biancoceleste Vincenzo Paparelli viene colpito da un razzo. Quarantatré anni dopo, quelle scene sono ancora drammaticamente impresse negli occhi umidi di un bambino traumatizzato dalla morte di un padre. Gabriele Paparelli è di nuovo scosso e commosso. Ieri assicura di averne perso un altro, che lo aveva adottato: «Per me Pino era diventato uno di famiglia, una persona unica al di fuori del calcio. Mi è stato sempre vicino dopo quello che era successo, da piccino e da adulto». Prima però bisogna tornare indietro: «Di quel giorno, purtroppo, ricordo tutto. Anche il gesto di Pino è ancora nitido nel mio sguardo, lo fece per ristabilire la calma ed evitare che si scatenasse il panico. Ma io ho un ricordo ancora più bello». Gabriele svela un altro Wilson: «Ogni 28 ottobre mi chiamava per esprimermi la sua vicinanza e il suo dolore. Molte volte piangeva, si commuoveva con me, ricordando quei momenti terribili al telefono». Già, perché anche il capitano, fascia solida al braccio, era rimasto segnato nonostante l’apparente sangue freddo: «Non a caso difendeva mio padre, la mia famiglia contro chiunque infangasse minimamente la sua memoria. Su un dramma così orribile, non si scherza, Pino lo ripeteva ogni volta».

CASA


Da idolo a parente acquisito. In campo entrava in tackle sugli avversari, fuori Wilson andava dritto al cuore di ogni tifoso. Col sorriso contagioso e una pacca provava a guarire gli altri da ogni malanno: «Prima era un mito, un’icona tramandata di padre in figlio. Poi è diventata una persona speciale nella mia vita. Nella brutta circostanza che ci ha unito, ho avuto l’onore di conoscerlo così da vicino. Spesso mi ha consolato, gli sarò eternamente grato». Paparelli spiega quanto e come sia rimasto al suo fianco: «Ci sentivamo spesso. Abbiamo fatto diverse iniziative per papà, lui non se ne perdeva una. Era sempre presente ed era uno vero, che si emozionava e non lo nascondeva». Anche per la Lazio: «Si sarebbe emozionato della splendida vittoria in Sardegna. Invece, non c’era già più ieri mattina. Mi ha scioccato la notizia. Sembrava un giovanotto, tutti pensavamo avrebbe campato 120 anni e invece ci ha lasciato così, all’improvviso. Come papà e ogni altro laziale ‘maledetto’ dal destino. Sarà dura non ricevere più sul mio cellulare, dopo 40 anni, la chiamata del mio Capitano». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero