Italia-Austria, Chiesa segna 25 anni dopo papà Enrico: «Senza il calcio avrei fatto il fisico»

Chiesa al centro del villaggio azzurro. Un formidabile ragazzo, uno e trino: stop, controllo di destro, sinistro al volo sull’altro palo. «Non l’ho pensato. Sono...

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Chiesa al centro del villaggio azzurro. Un formidabile ragazzo, uno e trino: stop, controllo di destro, sinistro al volo sull’altro palo. «Non l’ho pensato. Sono stato bravo e freddo. In quelle situazioni magari vorresti tirare al volo, e invece ho controllato e calciato al momento giusto. Congratulazioni all’Austria, ha giocato davvero bene, è stato un grande ottavo di finale, ma alla fine il nostro gol è arrivato e abbiamo meritato». Con quella corsa inarcata a sferrare il colpo gobbo. Federico è gobbo d’orgoglio, ora anche d’azzurro. Perché i compagni lo stritolano in cerchio e lo ringraziano per aver salvato questo Europeo. E allora è realizzato quel sogno cullato da bambino fra le braccia di papà Enrico. In un’intervista gli chiedevano «ma chi fa gol?», rispondeva: «Io!». Venticinque anni e 12 giorni dopo (14 giugno 1996 Enrico contro la Repubblica Ceca), ecco un altro Chiesa Europeo. Non era mai successo prima che, nella fase finale di un torneo continentale, segnassero padre e figlio.

Ma questo non è un gol qualunque di Federico, è il primo da campione assoluto, può cambiargli lo status azzurro: se non è ancora titolare, deve esserlo. Berardi è stato il migliore del girone e non ha certo demeritato il posto. Ma questo Chiesa è di un altro mondo. Se il destro è il piede che svelle, il sinistro è quello che ribadisce, il doppio gancio è la simmetria del corpo. Destro e sinistro come Tex Willer e, tra un colpo e l’altro, il tempo di andare verso il corner per inchinarsi in tuffo con le manone verso il cielo. A fine partita abbraccia il Mancio. Nessun risentimento, solo gratitudine per il ct che gli ha regalato, sia pure dalla panchina, l’ingresso: «Il merito è dell’allenatore, che ci vuole sempre pronti. Siamo in 26 e, come contro il Galles, quelli che sono entrati hanno dimostrato di poter dare una grossa mano. Ci stava l’emozione in una partita secca, adesso godiamoci il momento». 

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Chi è Federico Chiesa 

In fondo di Federico si parla da una vita, ma ha solo 23 anni nel documento. È forse l’italiano con più margini di crescita e talento esplosivo. Ora è l’arma in più, è il suo momento. Serviva una bomba da 50 milioni (e 15 reti nell’ultima stagione a Torino) a spezzare il maledetto catenaccio austriaco. È il taglio millimetrico a rete di un altro subentrato. Di uno che, se non avesse fatto il calciatore, sarebbe stato un fisico. In una piazza a Parma, tirando calci a un pallone fra i piccioni, decise di cambiare il suo destino. Federico è l’antidivo («Sul Cyenne non mi vedrete mai»), innamorato di mamma Francesca, con papà Enrico come idolo. Li ha chiamati ieri emozionato come quando a dicembre 2016 segnò il primo gol in Europa League contro il Qarabağ. È nato per caso a Genova, a Firenze è esploso. Paulo Sousa è la figura («Un genio») che più ha segnato il suo percorso. Nell’Italia è appena iniziato. Stavolta non è di Pessina la favola nonostante il raddoppio. È di Chiesa l’ultimo mito. Dopo sette anni di scuola internazionale e il soprannome “l’Inglese”, non è un caso nemmeno il tempio. A Wembley Chiesa era già scritto sul tabellino. 

 

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Il Messaggero