Un fallimento sportivo, un salasso economico. Se il pallone italiano si è sgonfiato, anche la cassaforte federale rischia di asciugarsi un pochino per le inevitabili...
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Oggi la nazionale azzurra può contare su 4 main sponsor: Puma, Poste, Fiat e Tim, più altri 4 premium sponsor (Lete, Lidl, Intralot, San Carlo), un Luxury partner (Ermannno Scervino), 10 official partner (Nutella, Frecciarossa, Fassi, Swisse, Radio Italia, Corriere dello Sport, Costa d'Oro, Goleador, Magniflex, Dixan) e due technical supplier (Sixtus e Technogym). Totale, 22 sponsor che garantiscono entrate per 43 milioni l'anno. Va da sè che senza la vetrina russa alcuni contratti saranno difficili da rinnovare alle stesse condizioni nel quadriennio che porta al Mondiale in Qatar nel 2022. «Ogni decisione sulla futura sponsorizzazione sarà presa una volta scaduto il contratto esistente ma non sarà certo una partita a pesare sulla decisione», fanno sapere dall'Eni secondo cui sponsorizzare la nazionale è innanzitutto «condivisione di valori». «Non mettiamo in discussione la nostra partnership, sia nel bene che nel male», aggiungono fonti della Tim. Lo sponsor tecnico Puma garantisce ogni anno 18,7 milioni: il contratto è blindato dal momento che scade nel 2022 e l'unica ricaduta certa saranno i mancati introiti delle royalties che l'azienda tedesca riconosce alla federazione per le magliette vendute durante i grandi eventi sportivi. Nel 2018 scadranno però tre sponsorizzazioni di peso come Poste, Fiat ed Eni: nelle trattative di rinnovo peserà anche la debacle di ieri sera, ma il ruolo istituzionale degli sponsor storici delle nazionale non dovrebbe essere messo in dubbio, poiché il brand azzurro viene considerato un valore di per sè, indipendentemente dal fallimento di oggi.
Con l'Italia fuori da Russia 2018, torna tutto in discussione.
Il Messaggero