Lazio, l'Europa è diventata un paradosso

Lazio, l'Europa è diventata un paradosso
Iniziare il campionato puntando ad un piazzamento in Europa e l’anno successivo sperare di uscire il prima possibile da quella coppa conquistata per avere energie da usare...

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Iniziare il campionato puntando ad un piazzamento in Europa e l’anno successivo sperare di uscire il prima possibile da quella coppa conquistata per avere energie da usare per entrare in Europa. Eccolo il paradosso della Lazio. Che senso ha affannarsi in campionato se poi si ha il fiato corto nelle altre competizioni? Perché continuare a sbandierare la voglia di Champions League se poi non si hanno le forze e le capacità per gestire nemmeno la sorella minore Europa League? Diciamocelo francamente dalla parti di Formello c’è un paradosso che non si vuol chiarire. I motivi? Continuare a galleggiare in quella zona di penombra. Esattamente quella striscia dove il sole non ti brucia e l’ombra non ti oscura. 

PASSI INDIETRO
La matematica non condanna ma ai biancocelesti serve un miracolo per qualificarsi ai sedicesimi. Terzi in classifica di un girone assolutamente alla portata. Tre sconfitte in quattro partite non sono accettabili per un club che punta agli allori della Champions. Lì sì che ci sono squadre molto più forti. Per chiarimenti citofonare all’Inter di Conte o al Tottenham, ultima finalista, strapazzata 7-2 dal Bayern Monaco. Il quadro diventa sicuramente peggiore se si prendono in esame gli ultimi tre anni. Nel 2017-2018 la Lazio arriva ai quarti e butta via una semifinale praticamente già in tasca perché la testa è alla corsa Champions. Sì proprio l’anno del ko contro l’Inter all’ultima giornata. A fine stagione entrambi gli obiettivi saranno falliti. La stagione successiva la Lazio supera il girone agilmente ma poi si ferma ai sedicesimi contro il Siviglia. Squadra falcidiata dagli infortuni perché i giocatori venivano spremuti in campionato all’affannosa ricerca di una Champions che non arriverà. Anzi sarà la coppa Italia a regalare a Inzaghi, arrivato ottavo, un posto in Europa. Non passare neanche il girone significa fare un altro passo indietro. Diventa dunque inutile conquistare la Champions se poi non si ha la giusta esperienza. Perché non puntare, invece, ad arrivare in fondo all’Europa League? La speranza è che non sia solo una questione di soldi.
GIOCATORI NON ADATTI

Ma il paradosso è legato anche alle diverse anime che popolano Formello. Alla fine della partita il presidente Lotito si è fatto sentire con la squadra rimarcandola mancanza di cattiveria, per usare un eufemismo. Rimprovero che in qualche modo fa capire che il patron avrebbe voluto andare avanti. Inzaghi e il ds Tare sono sembrati, invece, su un’altra linea. Il primo nonostante abbia fatto del «sono sicuro che passiamo il turno» una bandiera da sventolare a tutte le conferenze poi nei fatti ha sempre sconfessato il suo credo. Basti pensare all’atteggiamento della squadra in campo nelle varie gare o alle scelte fatte. La madre di tutti i problemi è la prima partita con il Cluj. Un ko che nasce da un turnover senza senso: Immobile e Luis Alberto lasciati addirittura a casa. Errore ripetuto a Glasgow contro il Celtic. Bene il tecnico non può nemmeno lamentarsi del mercato visto che ad inizio stagione si era detto contento. Anzi di averlo programmato con il ds Tare. Certo alla luce delle prestazioni viste non si capisce bene Berisha, Durmisi (neanche inserito nella lista Uefa), Jony, Vavro e Adekanye esattamente a cosa servano. Giocatori che senza l’Europa League sono destinati a sparire dai radar. Per affrontare in modo degno la coppa serviva ben altro tipo di mercato. Non scommesse, non giocatori che vanno aspettati in eterno, non Carneadi a basso costo. Servono giocatori pronti, di personalità ed esperienza. Se la Lazio fosse andata in Champions si sarebbe fatto un altro tipo di mercato? Chissà. Al momento c’è un altro paradosso: poca qualità per due competizioni, troppa quantità per il solo campionato. A gennaio, dunque, il mercato sarà prevalentemente in uscita. Inzaghi ora non ha alibi. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero