L'ex ct del Ghana, Dossena: «Felix? Straordinario, ma la società ora deve proteggerlo»

L'ex ct del Ghana Dossena: «Felix? Straordinario, ma la società ora deve proteggerlo»
Ha sempre scelto le cose più difficili. Come quando nell’83, Beppe Dossena diede vita alla storica rimonta (da 0-2) nel derby di Torino che spalancò lo...

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Ha sempre scelto le cose più difficili. Come quando nell’83, Beppe Dossena diede vita alla storica rimonta (da 0-2) nel derby di Torino che spalancò lo scudetto alla Roma di Liedholm. Tre gol granata (Dossena, Bonetto e Torrisi) in 180 secondi per una domenica indimenticabile. La stessa vissuta nell’ultimo weekend da Felix. Un ragazzo che non conosce personalmente ma che somiglia molto ai giovani che ha potuto visionare dal 1998 al 2000, periodo nel quale è stato ct del Ghana. 


Un aggettivo per Felix? 
«Straordinario. Tutti parlano del secondo gol, bellissimo, ma il primo è da attaccante vero. Colpisce la palla nel momento giusto per prendere il tempo al portiere. Se aspetta una frazione di secondo in più, calcia sul piede di Sirigu o a sinistra, fuori dall’angolo. La sorprenderò ma non mi meravigliano queste prestazioni. Chi è stato in Ghana, sa che questa è la normalità». 


Addirittura? 
«Felix è solo un granello della sabbia d’Africa. Ce ne sono potenzialmente migliaia come lui. Bisogna soltanto avere il coraggio e la forza di andare in loco. Fermarsi, spostarsi anche in posti sconosciuti, dove magari si rischia di prendere la malaria come è accaduto a me. Lo so, non è semplice. Molto più facile stare dietro una scrivania, aspettando il procuratore di turno che ti propone un ragazzo. Ma se i club volessero, quello è ancora un mondo inesplorato». 


Va dato merito a Mourinho di averlo lanciato. 
«Sicuramente anche se adesso arriva il difficile. José dovrà esser bravo a proteggerlo. Non solo qui, in Italia, ma soprattutto in Ghana. Il paese è eccezionale ma ha tradizioni diverse dalle nostre. Le racconto un aneddoto. Quando ho vissuto lì, oltre alla supervisione della nazionale maggiore mi occupavo anche dell’Olimpica, dell’under 20 e 17. Proprio in virtù di questo incarico, avevo rapporti con Jerry Rawlings, il Capo dello Stato dell’epoca. Capitava dunque che a volte mi invitasse nel castello ad Accra per parlare con lui. E mi diceva: “Vedi coach, noi possiamo diventare i più grandi professori dell’Università di Harvard, possiamo ricoprire le più alte cariche all’interno di una società Usa ma quando torniamo in Africa, torniamo a fare gli africani”. Questo per dire che quando tornano a casa, questi ragazzi entrano in un’altra dimensione fatta di amici, parenti, politici locali e tribù che li condizionano».

 
Cosa fare allora? 
«È difficile ma bisogna costruire una corazza che il ragazzo deve indossare e togliere. Perché non tutte le persone che lo avvicineranno, avranno cura della sua professione. Cercheranno inevitabilmente di portargli via qualcosa. E lui lo deve sapere». 


Come avrebbe preso la decisione del ragazzo di non rispondere alla convocazione della nazionale? 


«Lo trovo assurdo. Non si sente pronto? Allora la Roma lo deve proteggere. Non assecondando però la volontà di non andare ma accompagnandolo lei stessa. Gli deve affiancare una persona del club. A quell’età, se ti chiama la Nazionale, devi andare».  Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero