Alex Schwazer si rimette in marcia. Non lui, ormai 34enne ed ex atleta, ma il caso relativo alla sua squalifica per doping. Ieri il gip di Bolzano titolare del procedimento penale...
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LA VICENDA
I dubbi sono gli stessi, che questo caso si trascina fin dal giorno in cui esplose e che spinsero Sandro Donati, figura riconosciuta come di spicco nella lotta al doping, all’epoca dei fatti allenatore di Schwazer, a parlare di «complotto» ordito per smontare il programma di lavoro dell’atleta che con le sue prestazioni stava dimostrando di poter vincere in una disciplina dura come la 50 km di marcia senza l’ausilio di sostanze dopanti. Schwazer venne trovato positivo in due occasioni. La prima volta accadde alla vigilia delle Olimpiadi di Londra 2012 e il marciatore (oro ai Giochi di Pechino 2008 e portacolori dei Carabinieri), in lacrime, ammise l’uso di Epo: «Volevo essere più forte a Londra, ho fatto tutto da solo. Ho sbagliato. La mia carriera è finita». Al rientro, seguito da Donati, vinse la 50 km a squadre nel Mondiale del 2016 disputato a Roma, con conseguente qualificazione ai Giochi di Rio 2016. Ma in Brasile Alex non ci andò mai, perché il 22 giugno la Wada comunicò l’esito positivo al testosterone del controllo a sorpresa effettuato a Racines (paese di 4mila anime in provincia di Bolzano) il 1° gennaio dello stesso anno. Di questa seconda positività, però, Schwazer si disse sempre innocente ma il 10 agosto del 2016 il Tas lo squalificò per 8 anni cancellando tutti i risultati agonistici conseguiti nella stagione.
INCONGRUENZE
Nella sua tesi difensiva, espressa di volta in volta prima in sede di giustizia sportiva poi in quelle di giustizia ordinaria (che lo indaga per frode sportiva), Schwazer ha sempre sostenuto l’innocenza e la tesi della manipolazione della provetta. In particolare l’attenzione si è focalizzata sui tempi (controllo del 1° gennaio, comunicazione della positività il 22 giugno solo dopo la conquista delle Olimpiadi da parte del marciatore) e, soprattutto, sull’ipotesi manipolazione. I campioni di urina, controanalizzati su richiesta della procura nel marzo del 2018 ovvero a oltre due anni di distanza dal prelievo, evidenziarono quantità di Dna che i Ris definirono anomale, quindi non fisiologiche avvalorando la tesi della manipolazione. Sospetti alimentati dalle difficoltà avute dai Ris nell’ottenere le provette dal laboratorio di Colonia, dove sono tuttora conservate. I tempi di questo nuovo incidente probatorio non sono certi, visto che nell’ordinanza non sono imposti termini perentori nel reperire i campioni a Fidal e Wada. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero