​Doping Lucca, Fanini, presidente del Team Amore e Vita: «Troppo spesso la colpa è delle famiglie»

Doping Lucca, Fanini, presidente del Team Amore e Vita: «Troppo spesso la colpa è delle famiglie»
Una storia  triste incominciata con la morte misteriosa del ciclista ventunenne Linas Rumsas lo scorso 2 maggio e che ha portato gli inquirenti a smascherare uno dei casi di...

OFFERTA SPECIALE

2 ANNI
159,98€
40€
Per 2 anni
SCEGLI ORA
OFFERTA MIGLIORE
ANNUALE
79,99€
19€
Per 1 anno
SCEGLI ORA
 
MENSILE
6,99€
1€ AL MESE
Per 6 mesi
SCEGLI ORA

OFFERTA SPECIALE

OFFERTA SPECIALE
MENSILE
6,99€
1€ AL MESE
Per 6 mesi
SCEGLI ORA
ANNUALE
79,99€
11,99€
Per 1 anno
SCEGLI ORA
2 ANNI
159,98€
29€
Per 2 anni
SCEGLI ORA
OFFERTA SPECIALE

Tutto il sito - Mese

6,99€ 1 € al mese x 12 mesi

Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese

oppure
1€ al mese per 6 mesi

Tutto il sito - Anno

79,99€ 9,99 € per 1 anno

Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno
Una storia  triste incominciata con la morte misteriosa del ciclista ventunenne Linas Rumsas lo scorso 2 maggio e che ha portato gli inquirenti a smascherare uno dei casi di doping più importanti degli  ultimi anni, dove i protagonisti, ma anche le vittime, sono dei giovanissimi ignari di quanto gli stava accadendo. Teatro di questa vicenda è un appartamento di Capannori, di proprietà della famiglia di un corridore, dove i giovanissimi del team Altopack-Eppela venivano portati in ritiro e sottoposti alle terapie dopanti e proprio in questa cittadina del lucchese dove abita Ivano Fanini, presidente del Team Amore e Vita che da anni è impegnato nella lotta contro il doping collaborando più volte con i Nas.


 Lei da anni è impegnato nella lotta contro il doping e le dinamiche  legate a questo mondo le conosce bene, tanto da diventare uno dei referenti delle Polizia in questi casi. Ci spieghi un po’ di più.
“Tanto per cominciare quando anche io correvo ho fatto uso di sostanze proibite, ma parliamo di tanti anni fa e le pasticche che prendevo io erano uno zucchero rispetto a quello che c’è adesso in circolazione. Oggi se guarda la velocità dei corridori è molto più alta rispetto a prima e poi una volta gli atleti non morivano mentre erano in attività mentre adesso le vittime sono diventate talmente tante che neanche si contano più. Io ho iniziato a collaborare con i Nas negli anni Novanta e quando il Giro d’Italia nel 1996 partì dalla Grecia, nel rientro in Italia organizzai un controllo a sorpresa a Brindisi sul traghetto che riportava tutte le squadre”.

 Il doping ha raggiunto Lucca la sua città, che pensieri ha fatto quando è venuto a conoscenza di questa vicenda?
 “Quando Rumsas è morto tutti abbiamo pensato male perché la sua era una famiglia che era già stata coinvolta in casi di doping ma fino all’ultimo abbiamo sperato che non fosse vero perchè era un giovanissimo e invece poi si è capito che lo scandalo aveva coinvolto tutta la squadra”.

 In questa vicenda sembra che un ruolo importante sia stato giocato dalle famiglie dei corridori coinvolti, cosa pensa?
 “Purtroppo non solo nel ciclismo ma anche negli altri sport ci sono famiglie che puntano subito al successo e alla firma di un contratto con una società importante e di conseguenza ai soldi. Alcuni genitori quando pensano di avere il campione in casa e arrivano a quelle categorie dove è possibile entrare nel mondo dei professionisti prima dei tempi soliti, pur di vedere il proprio figlio vincere e trionfare allora sono disposti a fare tutto, anche scendere nell’illecito e la gente lo sa, lo vede ma poi nessuno dice nulla”.

 Prima che la Procura di Lucca aprisse l’inchiesta avete mai sospettato qualcosa su questa squadra?
 “A Lucca nessuno immaginava lontanamente quello che è stato scoperto dalla Procura. Se Rumsas non fosse morto non si sarebbe mai aperta un’inchiesta e non sarebbero partite le intercettazioni telefoniche che hanno portato alla scoperta di questo caso”.

 Che squadra era la  Altopack-Eppela?
 “In tanti l’hanno definita una delle 10 squadre dilettantistiche più importanti in Italia ma i fatti e i risultati parlano chiaro, forse era la cinquantesima. Quest’anno la squadra non esiste più e nel 2017 non ha vinto neanche una corsa e l’anno precedente hanno vinto 4 o 5 corse al massimo, quindi non era neanche una squadra di rilievo, per tanto era agli occhi di tutti una società insospettabile”.

 Chi sono le persone coinvolte in questo caso che ha sconvolto la sua città?
 “Sono il presidente della società, il direttore sportivo, il medico della squadra, il preparatore atletico e una ventina di indagati con sei agli arresti domiciliari. E’ un fatto gravissimo che non era mai successo e che nessuno si aspettava perché non c’erano neanche risultati di rilievo".

 Come combatte la Federciclismo il fenomeno del doping?
 “Grazie alla federazione italiana e a quella internazionale e con il lavoro che ho fatto io dove ho scoperchiato il pentolone dove erano  nascosti tanti casi di doping, oggi è veramente difficile non essere scoperti nelle categorie dei professionisti, perché i controlli sono veramente tantissimi e si rischia tanto, mentre il problema rimane per le categorie giovanili e gli amatori dove negli ultimi anni si è concentrato tutto il mercato delle sostanze illecite perché non ci sono controlli. Anche nei giorni scorsi è uscito un altro caso di un corridore professionista trovato positivo ad un controllo fatto a dicembre ed è stato subito scoperto, mentre nelle categorie minori i  controlli sono veramente sporadici. L’Italia nel 2017 ha vinto 34 medaglie e sono tutte medaglie pulite”.

 Quanto doping circola ancora nel ciclismo?
 “Come ho già detto prima negli anni passati c’era una percentuale altissima e oggi grazie a tutti i controlli che vengono fatti sia dalle società che dalle federazioni è difficile che un corridore che fa uso di sostanze illecite non venga scoperto, la percentuale è proprio minima. Ad esempio se si guarda al caso di Froome il corridore più vittorioso degli ultimi anni, sono già mesi che è sotto processo e per dei prodotti che sono ben diversi rispetto a quelli ritrovati nell’operazione di Lucca. Froome aveva assunto farmaci contro l’asma, non voglio entrare nel merito sul perché lui abbia usato questo farmaco ma comunque si parla veramente di altro rispetto a quello che  è stato ritrovato in quei ragazzi”.

Lei è il presidente della squadra ciclistica Amore e Vita, questo nome da cosa nasce?
 “Io e la mia famiglia siamo nel mondo del ciclismo da generazioni e tutti in questo ambiente ci conoscono e da quando ho deciso di combattere il doping ho chiamato la mia squadra Amore e Vita. Sono tanti anni che sono in prima linea per combattere questo fenomeno e da anni collaboro con i Nas a 360 gradi. Ai miei corridori insegno che il risultato arriva con gli allenamenti, il sudore e la fatica e non con i mezzi illeciti. Ci sono corridori che hanno avuto in carriera problemi di doping e sono venuti poi da me chiedendo aiuto per rientrare nel mondo del ciclismo e io ho sempre cercato di aiutarli ma a patto che mi raccontassero tutto sulla loro vicenda invitandoli a collaborare con me e con i Nas”.

 Lei oggi collabora ancora con la Procura e i Nas per i casi di doping nel mondo del ciclismo?

 “Sì. Ogni volta che la Procura o la polizia mi chiama per avere informazioni e collaborazione io non mi tiro mai indietro, ma non voglio però che la gente mi consideri uno spione. Faccio quello in cui credo rispettando le regole”. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero