Dopo oltre due anni Novak Djokovic torna a conquistare un titolo Slam. E lo ha fatto a Wimbedon, nel torneo più antico (era la 132esima edizione) e prestigioso del mondo....
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Djokovic nella sua centesima finale in carriera, la 22esima in uno Slam, la quinta a Wimbledon, partiva favorito contro Anderson. Non fosse altro per i numeri tutti a suo favore: per il 32enne gigante sudafricano di oltre due metri era la seconda finale Slam dopo quella persa dieci mesi fa agli US Open contro Nadal. I precedenti dicevano 5-1 per il serbo, anche se nel 2015 proprio sull'erba di Wimbledon il tennista di Johannesburg era stato avanti due set negli ottavi prima di arrendersi al quinto. Questa volta è stato tutto molto più semplice per Nole. Anderson è apparso affaticato e poco lucido sin dalle prime battute: meno efficace al servizio (solo 10 ace alla fine, lui che nel corso del torneo ne aveva collezionati 172 nelle precedenti 6 partite), stanco e poco reattivo. E con di fronte un avversario obiettivamente più forte. Hanno sicuramente avuto il loro peso le sei ore e mezza della maratona di servizi necessarie per battere Isner 26-24 al quinto due giorni prima in semifinale. Senza contare che anche nei quarti contro Federer, al quale aveva rimontato due set di svantaggio, era stato in campo oltre quattro ore. In totale per arrivare in finale ne ha impiegate 21, tantissime. Già dopo pochi game Anderson ha chiesto l'intervento perché dolorante al braccio destro. Due break nel primo set, altrettanti nel secondo: un doppio 6-2 che sembrava già una sentenza inappellabile. La sfida si è invece improvvisamente accesa sul finire. Fino al 5-4 del del terzo parziale il sudafricano aveva avuto una sola palla break sotto 5-2 nel secondo. Djokovic ne ha concesse due su altrettanti doppi falli e le ha cancellate. Come le altre tre concesse sotto 6-5. Quindi l'epilogo al tie break.
Per Djokovic è il tredicesimo Slam in carriera (davanti solo Federer a quota 20 e Nadal a 17), il quarto ai Championships (come Rod Laver) dopo i trionfi del 2011, 2014 e 2015.
Il Messaggero