Sono giorni di ricorrenze romaniste, l’addio di Totti (28 maggio), quello di De Rossi (il 26), poi ce n’è una che nessuno dimentica: la morte di Agostino Di...
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A DiBa non piaceva la vita che stava conducendo, o meglio non era totalmente soddisfatto: questioni di nostalgia per Roma (viveva a due passi da Salerno, dove aveva concluso la carriera, e lì aveva attività più o meno funzionanti), supposti problemi finanziari, un mondo che lo aveva allontanato, la chiamata della Roma che non arrivava. Si sentiva intrappolato. Ago non ha resistito, molti ancora oggi gliene fanno una colpa, perché si è allontanato dalla gente che gli voleva bene e che oggi, a distanza di quasi trent’anni, ancora lo ricorda con affetto e lo ha eletto come il Capitano, con la maiuscola, della storia della Roma. Quel numero 10 che parlava con la bocca chiusa, avvolto dalla timidezza, ma che sapeva essere leader anche con chi aveva i riflettori puntati addosso per meriti calcistici, vedi una primadonna come Falcao, artefice primo del secondo scudetto. Ago era il classico condottiero che non aveva bisogno di parlare, il calciatore che appassionava i bambini per quelle “bordate” che tirava, per quel suo modo discreto di esultare, di essere. Un anti eroe ieri, una leggenda oggi e per sempre. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero