«Se il calcio pensa di salvare solo gli uomini, e non anche le donne, allora non si salva». Effetto della pandemia, anche il Telegraph si schiera - a certezze...
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E in funzione dell'auspicata ripresa «ci aspettiamo pari tutele sanitarie dei nostri colleghi uomini, che venga redatto un protocollo ad hoc perché quello dei dilettanti per noi non va bene per riprendere. Attendiamo poi anche le risorse per tornare ad allenarci e vivere da professioniste quali siamo». E questo perché «le calciatrici oggi sono consapevoli di essere professioniste a tutti gli effetti e quindi si aspettano un riconoscimento ufficiale del loro status». Al momento, nel panorama dilettantistico, la Serie A femminile è infatti l'unica competizione che non è stata dichiarata chiusa e che resta in sospeso con 37 partite ancora da giocare. «Quello che conta è il salto di qualità - sottolinea Gama -: bisogna approdare al professionismo. Siamo a un bivio, ma nei momenti di crisi ci sono anche grandi possibilità, si può riformare». La partita resta da giocare e, come ricordato dalla presidente della Divisione calcio femminile Ludovica Mantovani, «la scelta di credere ancora nella conclusione del nostro campionato d'élite, a cui mancano solo 6 giornate, è una sfida che le calciatrici, tra le quali troviamo il patrimonio sportivo della nostra Nazionale A, accoglieranno con entusiasmo vista la loro grinta e dedizione. Questa pausa di riflessione, che pone la nostra Serie A in una situazione unica all'interno della Federazione, deve essere vista come un'opportunità».
Nel mondo l'attenzione per il settore femminile d'altronde resta alta. La Fifa ad esempio ha messo in conto di spendere un miliardo di dollari fino al 2022 in programmi di sviluppo e proprio oggi ha annunciato una collaborazione col sindacato mondiale (Fifpro) per accelerare la crescita del calcio femminile professionistico e mitigare l'impatto della pandemia di coronavirus.
Il Messaggero