Gli Stati Uniti rivoluzionano l'antidoping: i test agli atleti viaggiano su Zoom

Gli Stati Uniti rivoluzionano l'antidoping: i test agli atleti viaggiano su Zoom
Se ne era parlato molto all’inizio dell’emergenza sanitaria, quando i Giochi di Tokyo 2020 non erano ancora stati rinviati. E allora, tra tanti ostacoli alla pratica...

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Se ne era parlato molto all’inizio dell’emergenza sanitaria, quando i Giochi di Tokyo 2020 non erano ancora stati rinviati. E allora, tra tanti ostacoli alla pratica sportiva, erano venute fuori anche le problematiche dell’antidoping: con i laboratori d’analisi concentrati sul Coronavirus, non c’erano le forze e i numeri per continuare a testare gli atleti. Poi la pandemia è deflagrata, ha cancellato l’attività di ogni disciplina e dato una spallata alle Olimpiadi, fino all’estate del prossimo anno. Ma il problema test è rimasto e, anzi, con i Giochi rinviati e i tornei preolimpici in molti casi ancora da disputare, si è anche allargato un pochino. La classica occasione - il vuoto di controlli - che fa l’uomo ladro (o l’imbroglione dopato). Ma questi giorni ci stanno insegnando a trovare soluzioni creative per operazioni che fino a qualche settimana fa erano pura routine e così anche l’antidoping si è adeguata. Il modello arriva dagli Stati Uniti dove la Usada, l’agenzia nazionale preposta al controllo degli atleti, ha varato i controlli online, in diretta su piattaforme video come Zoom e Facetime. Come ritorno di immagine, alla Usada avrà senza dubbio fatto comodo che al programma abbiano aderito superstar dello sport Stars & Stripes come la pluricampionessa del nuoto Katie Ledecky e le stelle dell’atletica Allyson Felix, Emma Coburn e Noah Lyles. «Dovevamo fare qualcosa, perché ci sentivamo in colpa nei confronti degli atleti puliti», ha spiegato alla Bbc il direttore esecutivo dell’agenzia Travis Tygart


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COME FUNZIONA

Per i nuovi test servono diversi ingredienti. Alcuni materiali, come le telecamere sulla porta del bagno, e altri astratti, come la disponibilità degli atleti a farsi dei prelievi di sangue da soli. Tutto comincia con i kit che vengono spediti ai campioni. Dopodiché gli atleti vengono contattati quotidianamente dalla Usada, alla quale devono garantire un’ora della propria giornata. Durante quel lasso di tempo trascorso in contatto visivo sulle piattaforme citate, gli atleti dovranno raccogliere le proprie urine. La telecamera installata sulla porta del bagno servirà a segnare orari di ingresso e di uscita («Ovviamente, per motivi di privacy non ci è permesso vederli mentre fanno i loro bisogni», ha sottolineato Tygart...) mentre per evitare scambi di provette ci sarà un termometro per dimostrare che la temperatura del campione fornito sia in linea con quella corporea. A quel punto la fiala va etichettata e richiusa nel pacco per la spedizione. Per i test ematici viene fornito uno strumento plastico di puntura con cui i ragazzi possono fare il prelievo da soli sulla parte superiore delle braccia. «Certo, il problema non può essere risolto se in altre parti del mondo fanno zero controlli», è l’amara chiosa di Tygart, ma le agenzie antidoping di Norvegia, Germania e Canada hanno già chiesto informazioni sul programma. Che lo show abbia inizio. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero