Con Berrettini l'Italtennis è sempre più verde

Con Berrettini l'Italtennis è sempre più verde
A guardarla col filtro della razionalità c’è da entusiasmarsi e basta. A voler invece lasciare campo libero ai sogni c’è da chiudere gli occhi e...

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A guardarla col filtro della razionalità c’è da entusiasmarsi e basta. A voler invece lasciare campo libero ai sogni c’è da chiudere gli occhi e trattenere il fiato. Matteo Berrettini che vince il titolo del Queen’s, il quinto della sua splendida carriera, è oggi il sorriso d’Italia. Un sorriso sincero, aperto, in pace col mondo, nel quale solo chi è ben conscio di essere jovanottianamente un ragazzo fortunato, può schiudersi. Ma il sorriso d’Italia è andato in scena dopo la finale di uno dei torneo più carismatici del pianeta che ha la simpatica caratteristica di fare da antipasto a Wimbledon. Ed è a questo punto che bisogna scegliere: o ai Championships ci pensiamo oppure no. Evitare sarebbe più conveniente; buttarci un occhio è decisamente più invitante.


SULLE ORME DI BECKER
Nell’anno domini 1985 al Circolo della Regina vinse un ragazzino esordiente di 17 anni che nella finale contro il sudafricano Johan Kriek, di chiara famiglia boera, mise a segno undici ace. Non troppo strutturato fisicamente ma già dotato di non indifferente elasticità, il ragazzino si chiamava Boris Becker. Pochi giorni dopo quello stesso ragazzino avrebbe lasciato a bocca aperta il mondo vincendo i Championships battendo nella finale Kevin Curren che in Sudafrica era nato pure lui ma era diventato cittadino americano due mesi prima.
Anche per Matteo era la prima volta al Queen’s. I 17 anni se li è lasciati alle spalle da un po’, di ace nella finale ne ha messi a segno 19; e quella di ieri non è stata certo la sua miglior giornata. Ma se dopo il partitone contro Djokovic a Parigi tutti hanno sostenuto la tesi che il nostro aveva dimostrato al mondo di non essere uno dei tanti servitori al fulmicotone che però si arenano quando incontrano avversari che li costringono a manovrare, cosa dovremmo dire oggi? Si può sostenere che Matteo andrà a Wimbledon con il pass di aspirante ad un ruolo negli ultimi due giorni di torneo? Si può. E dunque facciamolo.
Nel frattempo il sorriso d’Italia (ed è soprattutto questo a renderlo simbolicamente il più amato dalle italiche madri) ha sollevato la Coppa della Regina con la stessa espressione di quando papà Luca e mamma Claudia gli regalavano una mega confezione di Lego per il compleanno. «Questo torneo lo guardavo in tv quando ero piccolo, vincendolo ho realizzato il sogno di un bambino. Se poi penso che il mio nome è ora accostato a quello di Becker… it’s crazy, è pazzesco».
MATTONE DOPO MATTONE

Ripensiamo al Lego: la grande passione di Matteo, quando sognava di vincere su quell’erba, erano per l’appunto le costruzioni. Quando hai quel tipo di passione o diventi ingegnere oppure trasferisci il senso di compiutezza che provi aggiungendo un mattoncino sopra l’altro, ad un’altra attività. E non è esattamente ciò che sta facendo Berrettini? Un miglioramento dopo l’altro, un continuo work in progress che rende il progetto sempre più bello e completo. Una sorta di sentiero che si percorre per dare ordine al mondo. E lo sport per eccellenza che cerca di dare una veste estetica a tale tentativo è il tennis. Con il quinto titolo in carriera chissà a che punto è arrivato Matteo nella costruzione del suo personalissimo Empire State Building. Ma da dov’è ora vede già King Kong che si sbraccia in punta. Uno strano King Kong che parla serbo. Chissà quando lo raggiungerà. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero