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«Il calcio a mia moglie? Fu una contestazione minima dei tifosi». Le parole con cui ieri Danilo Cataldi ha ridimensionato l'aggressione nei confronti della consorte Elisa, avvenuta il 7 maggio 2017, ha indignato i giudici del Tribunale di Genova davanti ai quali il centrocampista della Lazio è stato sentito come testimone nel processo a 15 ultrà del Genoa per i ricatti alla società. Tanto che il presidente del collegio, lo ha interrotto dicendo: «Se le sembra una cosa normale che un tifoso tiri un calcio a sua moglie...».
Danilo Cataldi, l'udienza
A sferrarlo era stato, secondo la Procura del capoluogo ligure, l'ex capo ultrà rossoblu Massimo Leopizzi, che costrinse «il calciatore Cataldi e la moglie a non farsi fotografare da una famiglia di tifosi del Genoa, al termine della partita con l'Inter, perché "indegno"». Un match vinto peraltro dal club rossoblu (1-0). Elisa aveva difeso il marito, rimediando un calcio e diversi graffi. Alla fine dovettero intervenire due agenti di polizia e lo stesso calciatore fu coinvolto in un parapiglia. Evidentemente spaventato da possibili ritorsioni, Cataldi - che ha giocato per il Genoa da gennaio a giugno del 2017 - ieri, in un primo momento, ha minimizzato le pressioni dei tifosi e le aggressioni parlando di «male parole, insulti, ma non contatti fisici».
La versione del giocatore
Il giocatore aveva già comunicato tutto alla Lazio e a Lotito, che ha dato mandato all'avvocato Gentile di assisterlo: «Danilo doveva essere ascoltato a fine ottobre, ma aveva un impegno con la squadra in Champions. Addirittura da Genova avevano chiamato dalla Questura per venire a prenderlo - svela il legale biancoceleste - ma poi tutto si è risolto. Ieri ho parlato con la pm per farlo ascoltare per primo in modo tale che potesse tornare subito ad allenarsi a Formello». Cataldi in persona in serata chiarisce tutto: «Ho confermato quanto già detto in passato e non ho minimizzato l'episodio in cui è stata coinvolta mia moglie. Ho raccontato, anche a distanza di 7 anni, cosa è successo quel giorno a Genova. Credo fermamente nella giustizia e non accetto alcun tipo di insinuazione sul mio conto». Leggi l'articolo completo suIl Messaggero