ROMA Nel suo essere scorretto, Emerson Ferreira da Rosa, detto il Puma, paradossalmente nel 2004 fu corretto. Il brasiliano, che aveva già un accordo con la Juventus, il 13...
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PORTAFOGLIO E RICONOSCENZA
Qualche giorno fa, Spinazzola, uno che deve tanto se non tutto all'Atalanta, ha voltato le spalle alla Dea. Vuole la Juventus e basta. E, visto che a Bergamo da quell'orecchio non ci sentono, fuga. Via. Non gioco più, me ne vado... come cantava Mina. Ma la riconoscenza, si sa, non è di questo mondo. Quello del pallone, intendiamo. Del resto, che cos'è la riconoscenza di fronte alla possibilità di ingrassare il proprio conto in banca? Nulla. La conferma indiretta che il coltello dalla parte del manico ce l'hanno i calciatori. O meglio, i loro procuratori che sentono di poter fare come vogliono e con chi vogliono. Anche perchè ci sono tanti (troppi) presidenti che glielo fanno fare. Una sorta di Far West a nove zeri, con rispetto minimo della parola e dei contratti, sempre più ridotti a carta straccia. Kondogbia, eccone un altro, si è promesso al Valencia pur avendo un accordo pluriennale con l'Inter: e che problema c'è? Non mi presento all'allenamento e, oplà, les jeux sont faits. Ha voglia l'Inter a fare la faccia cattiva, a minacciare il mondo: il francese andrà in Spagna. Come da copione. E, allora, viene il sospetto che talvolta i dirigenti dei club lascino fare, come se fosse una prassi consolidata, un metodo di lavoro. Tanto una volta tocca a te essere incudine, ma un'altra sei martello. Perché nel mondo del calcio tutti sanno tutto di tutti. E, per questo, alcune volte conviene far finta di essere tonti.
VIVA LA FACCIA
Il laziale Keita, come il romanista Emerson nel 2004, si è promesso alla Juve e rifiuta tutto il rifiutabile. E, ovviamente, non si presenta a Formello. Lotito controlla, come può. Dembelé, che vuole il Barcellona, scappa da Dortmund, si dà alla macchia e ricompare solo per dettare condizioni. Tutto molto bello, direbbe il maestro Pizzul.
Viva la faccia, allora, di chi ci mette la faccia. Chi magari se ne vuole andare, lo dice ma continua ad onorare la maglia e a meritarsi fino all'ultimo giorno lo stipendio. Un nome? Per il momento, scusate, non ce ne viene in mente neppure uno. Forse perchè non li hanno ancora inventati. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero