Cabrini: «Calciatrici professioniste per il salto di qualità»

Antonio Cabrini
Le ragazze terribili che ora stanno facendo sognare tutto il Paese, Antonio Cabrini le conosce molto bene. E se l’Italia della ct Bertolini viaggia come un razzo verso la...

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Le ragazze terribili che ora stanno facendo sognare tutto il Paese, Antonio Cabrini le conosce molto bene. E se l’Italia della ct Bertolini viaggia come un razzo verso la luna il merito è anche dell’ex difensore che della maglia Azzurra ha scritto un bel pezzo di storia. Questo gruppo in qualche modo lo ha plasmato, tracciando un solco importante dal 2012 al 2017, periodo nel quale è stato il ct delle ragazze. Sotto la sua guida l’Italia femminile è arrivata ai quarti dell’Europeo 2013, mentre a quello del 2017 si è arresa al girone. E’ andato anche molto vicino al sogno mondiale, infrantosi contro i Paesi Bassi nella finale del play-off. 


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Cabrini quanto è orgoglioso di questo gruppo?
«Molto, io le ho allenate per 5 anni. Hanno fatto un grande passo in avanti, hanno molta più esperienza. Il merito è del cambio di mentalità delle squadre di club».

Ci spieghi meglio
«La Figc da sempre ha creduto nel movimento femminile. Nel periodo in cui il sono stato ct abbiamo sempre avuto a disposizione strutture importanti al pari degli uomini. La differenza grande veniva percepita quando le ragazze tornavano nelle rispettive squadre di club. Lì c’era una mentalità ancora dilettantistica. Tolta la maglia azzurra facevano un passo indietro».
 

Ora invece molto è cambiato
«I grandi club hanno investito in maniera diversa e non c’è praticamente diversità dagli uomini».
 
Quindi davanti alla tv non è rimasto sorpreso delle imprese di quelle che sono anche le sue ragazze?
«No, affatto. Ripeto io le conosco bene. Insieme abbiamo fatto un lavoro molto importante e ora si vedono i risultati. Se proprio devo dire una cosa che mi ha sorpreso in positivo è la crescita a livello di mentalità».

Il gruppo ha fatto un salto in avanti, invece delle singole chi l’ha impressionata di più?
«Io ho sempre puntato su quelle ragazze che non venivano prese molto in considerazione perché ancora troppo acerbe. Ad esempio la Bonansea. Lei è stata bravissima a capire che doveva crescere. L’ha fatto e ora è la giocatrice che tutti esaltano. Anche la Giuliano, che io ho fatto esordire, è un’altra di quelle».

Per raggiungere le Nazionali più forti quanto ancora ci vuole?
«Penso ancora un paio d’anni. Il tempo necessario affinché tutti i club maschili allestiscano anche una squadra femminile. Non si potrà andare avanti in eterno con questo gruppo. C’è bisogno di un ricambio generazionale. Per questo bisognerà lavorare molto sui settori giovanili».
 
Per fare questo nel migliore dei modi è necessaria l’introduzione del professionismo
«Sì. Il professionismo darebbe la spinta definitiva per fare il salto di qualità. Soprattutto a livello di strutture perché non si può pensare che le società da sole possano fare certi sforzi. Alcune realtà, soprattutto quelle più piccole, finirebbero per sparire. Credo comunque che in un paio d’anni il gap con le maschili sarà ridotto ulteriormente». 

E a chi dice che bisognerebbe ridurre campo, porte e minutaggio?

«Non mi sembra giusto. Il campo riescono a coprirlo bene. Finora non ho mai visto nessuna giocatrice starnazzare al suole alla fine dei 90 minuti. Con il tempo tutto migliorerà. Non si può far diventare il calcio femminile un altro sport. Sarebbe un grande errore».  Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero