Boca Juniors, Alfaro è il nuovo tecnico: «O paradiso o inferno»

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«Qui non c'è purgatorio »Acá no hay Purgatorio, è il Paradiso o l'Inferno, e vincere è l'obiettivo!«: così si...

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«Qui non c'è purgatorio »Acá no hay Purgatorio, è il Paradiso o l'Inferno, e vincere è l'obiettivo!«: così si è presentato ai tifosi ed ai media Gustavo Alfaro, 56 anni, nuovo tecnico del Boca Juniors, la squadra più popolare dell'Argentina. Definendosi »nella fase conclusiva della mia carriera«, il successore di Guillermo Barros Schelotto cerca di mettere il fiore all'occhiello della sua traiettoria professionale con il successo in una società »molto difficile e molto bella, dove arrivo con orgoglio ed impegno«. Alfaro è stato presentato poco dopo il suo rientro da una breve vacanza, con accanto il presidente Daniel Angelici ed il direttore sportivo, Nicolás Burdisso. Prendendo la parola il nuovo tecnico ha rivelato di avere »detto a Guillermo che era per me un orgoglio e una responsabilità prendere il suo posto. Ha lasciato l'asticella molto alta e cercheremo di essere all'altezza delle aspettative«. Con una sconfitta che brucia nei confronti dell'arcirivale River Plate nella Coppa Libertadores giocata a Madrid, il Boca ha bisogno di voltare pagina rapidamente. »Sento - ha assicurato - di essere preparato per questa sfida anche se capisco e sono cosciente del fatto che è un sogno da parte dei tifosi 'xeneizes' che ogni volta che si gioca per una Coppa è obbligatorio vincerla. E io sono qui per questo«. Nato a Rafaela, in provincia di Santa Fe, Alfaro è stato calciatore e poi allenatore nella squadra della sua città, l'Atletico. Durante la carriera di tecnico ha diretto anche Belgrano, Olimpo, Quilmes, Rosario Central e a lungo Arsenal, con una breve esperienza nel 2010 con Al-Ahli Saudi Football Club dell'Arabia saudita. Negli ultimi anni, fra il 2014 ed il 2016 allenò il Tigre, passando nello stesso anno al Gimnasia di La Plata, da dove si è trasferito nel 2017 all'Huracan e da là, rompendo il contratto, ha accettato l'offerta di dirigere la squadra che fu di Diego
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Il Messaggero