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Quello di Edgar Berlanga, per chi non mastica di pugilato, è probabilmente un nome che dice poco. D’altra parte il ragazzo di Brooklyn, americano di nascita e portoricano d’origine, 23 anni di cui 16 trascorsi sul ring - sì, ha iniziato a boxare a 7 anni - non è detentore di cinture mondiali, né vanta viaggi olimpici da raccontare ai propri discendenti. Ma quando si tira in ballo il famoso “ambiente”... Ecco, nell’ambiente, cioè tra colleghi, promoter ed esperti di pugilato, è uno dei personaggi del momento. Sì, perché non più tardi di dieci giorni fa il giovane pugile americano, che si fregia di soprannomi importanti come “The Chosen one”, l’eletto, ha mandato al tappeto il 16° avversario consecutivo. Impresa che ha diversi precedenti nel mondo della boxe, per carità. Ma la particolarità di Berlanga è che ci è riuscito sempre alla prima ripresa. In altre parole, il supermedio di Brooklyn non conosce il secondo round, almeno da quando è passato tra i professionisti. Intendiamoci: anche questo non è un record assoluto, la storia della nobile arte racconta di pugili che sono riusciti ad allungare questa serie anche oltre i 16 incontri. Ma tanto basta per giustificare un altro dei suoi soprannomi, il Mostro, che poi racchiude in sé anche un altro dei motivi per cui Berlanga sta diventando sempre più famoso nell’ambiente.
BORSE PIÙ ALTE
Parliamo del fatto che il record del giovane statunitense un po’ di soggezione nei suoi rivali comincia a metterla.
MATCH FLASH
Ecco: se sul pugno di Berlanga non ci sono dubbi, la tenuta sulle dodici riprese è tutta da dimostrare. «Vogliamo vederlo combattere per diversi round - aveva spiegato il promoter Carl Moretti, vicepresidente di Top Rank, prima dell’incontro con Bellows nel sottoclou di Lomachenko-López - Deve fare esperienze oltre i tre minuti. Siamo entusiasti di Berlanga ma non possiamo continuamente chiederci se la sua benzina duri oltre il primo round e cosa sia capace di fare oltre quel limite». Parole in cui soddisfazione e un certo imbarazzo si miscelano. Vero è che lo stesso Edgar inizia a sentire il peso di questa etichetta. «Io non punto a vincere al primo round. Se i miei avversari resistessero in piedi farei un piacere al mio allenatore. Prima o poi dovrò dimostrare di essere competitivo anche sulla distanza». Parole sagge. Ma contro chi? La caccia al prossimo impavido è appena cominciata. Sempre a patto di mettere qualche dollaro in più sul piatto della bilancia.
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Il Messaggero