Già mezzo sgonfiato dallo spillone della mancata qualificazione mondiale, ormai il pallone italiano rotola senza freni nel fango della confusione. Totale, confusione, va...
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Per cui è facile dedurre che per il nostro calcio i giorni a venire saranno irragionevolmente difficili: da vivere, come pure da gestire. Restituire un ordine, del resto, è sempre privilegio di pochi. Come si sa, nonostante il disastro combinato dall'Italia una settimana fa, Tavecchio continua a considerare una pazzia l'ipotesi di dimettersi. Anzi, ieri, ha scelto di percorre due sentieri in apparenza e in pratica divergenti. Da un lato ha imboccato la via delle lacrime; dall'altro è scivolato sul ghiaccio dello stile, rivolgendo pubbliche accuse a Ventura. «La debacle è tecnica, dipende dalla scelta tecnica sbagliata della formazione. Si, l'allenatore l'ho scelto io. Non dormo da quattro giorni. Abbiamo giocato male, con gente alta: i piccoletti sono rimasti in panchina», ha sussurrato alla trasmissione Le Iene, in onda stasera.
Dopotutto Tavecchio vuole salvare il proprio potere e magari risalire l'abisso in un respiro. Non è facile. Non è possibile. Per riuscire nella missione, comunque, domani presenterà al Consiglio federale una sorta di programma di riforma e il proposito solo il proposito di ingaggiare un campione della panchina come Ancelotti. Molto poco, in effetti. Tra l'altro a raffreddare gli entusiasmi ha provveduto Branchini, che dell'ex Bayern è grande amico. «Carlo non vuole mancare di rispetto ma adesso non è interessato», ha confidato a Radio Deejay. Immediata, ovvio, è stata la replica federale. «Notizie senza fondamento».
Per la verità Ancelotti potrebbe accettare l'incarico solo se una Federcalcio forte gli offrisse un progetto serio, e un sostegno unitario. Ma è un'utopia, dato che il capo dell'Assocalciatori, Damiano Tommasi, per dirne uno, da giorni minaccia uno sciopero: e da martedì chiede ai vertici federali il garbo di eclissarsi. Sarà quindi un gesto complicato sottrarre la poltrona a una figura come Tavecchio. Domani sapremo.
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Il Messaggero