Wenders a Cannes: «Ascolto Dio e quegli angeli sopra Berlino»

Il regista tedesco Wim Wenders
«Rivolgersi al lavoro, al mondo e, in particolare, agli “altri” è diverso quando credi di essere guardato da un Dio che ti ama; quando quel Dio manifesta...

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«Rivolgersi al lavoro, al mondo e, in particolare, agli “altri” è diverso quando credi di essere guardato da un Dio che ti ama; quando quel Dio manifesta se stesso (o se stessa) in ogni volto umano, in ogni sguardo che incroci». Wim Wenders, regista tedesco tra i più noti al mondo, si confida con il Sir (Servizio Informazione Religiosa) in vista di un dibattito che terrà il 25 maggio nell’ambito del Festival di Cannes, accanto a monsignor Dario Edoardo Viganò, prefetto della Segreteria della Comunicazione della Santa Sede.

Wenders nella sua lunga carriera ha descritto la presenza di Dio: ora racconta il suo approccio personale e artistico alla spiritualità. Spiega di aver compreso «il fatto che la fede potesse influenzarti come artista» quando, nel 1987, «ho aderito al progetto di un film poetico, totalmente improvvisato, quale “Il cielo sopra Berlino”. È la storia di due angeli custodi che tengono d’occhio i propri protetti nella città di Berlino. Quando mi sono accorto che il compito più importante del film era cercare di rendere, di declinare, “the Angel’s gaze at people”, lo sguardo degli angeli sulle persone, ma anche di mostrare come gli angeli ci vedono, questo mi ha fatto comprendere che tale opera ha avuto un altro effetto in me, mai sperimentato prima». 
«Il cinema in verità - aggiunge Wenders - è capace di farci guardare il mondo in maniera differente, di rivelarci realmente che uno sguardo di tenerezza è di fatto possibile». In particolar modo “Il cielo sopra Berlino” «non solo ha schiuso dinanzi a noi il mondo visibile, ma ci ha permesso di cogliere dei frammenti di quello invisibile, di quello celeste. Col senno di poi, dunque, è sembrato come se gli angeli che ho ricercato ed evocato nel film mi avessero concesso una grande lezione sull’atto del vedere», conclude il regista tedesco.  Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero