Tel Aviv: al Maxxi cento immagini per raccontare la Città Bianca

Dizengoff Circle, del 1939 (foto di Itzhak Kalter)
Il gusto e le atmosfere dell'Europa, con le influenze di Le Corbusier, dell'architettura espressionista di Erich Mendelsohn, della scuola tedesca del Bauhaus e della...

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Il gusto e le atmosfere dell'Europa, con le influenze di Le Corbusier, dell'architettura espressionista di Erich Mendelsohn, della scuola tedesca del Bauhaus e della facoltà di architettura di Ghent e Bruxelles, del razionalismo italiano, adattati al clima e alla cultura mediorientali: nella felice contaminazione tra memoria e modernità, tra Occidente e Oriente, risiede il fascino dell'architettura e dell'urbanistica di Tel Aviv, a cui il MAXXI di Roma dedica la mostra Tel Aviv. The white city”, dal 16 maggio al 2 settembre. Organizzata in occasione dei 70 anni dalla nascita dello Stato di Israele, la mostra espone circa 100 fotografie, schizzi, plastici e un nutrito corredo di video per documentare l'evoluzione di Tel Aviv e la sua trasformazione soprattutto tra gli anni '30 e '50 del '900, quando la città cambiò volto su impulso delle avanguardie europee, diventando un museo a cielo aperto dell'architettura moderna.


Nel percorso, si rende omaggio a Tel Aviv (fondata nel 1909 come estensione dell'antica città di Jaffa, dal 2003 nella lista dei siti Unesco Patrimonio Mondiale dell'Umanità, avvenimento da cui ha avuto origine la mostra) come simbolo dell'incontro tra culture, di vivacità e apertura.

Ciò che emerge infatti, camminando sopra alla gigantografia messa a terra che raffigura una veduta aerea della città, e osservando le grandi fotografie alle pareti, è quanto la bellezza minimalista, il rigore e l'assenza di ridondanza (anche nel bianco prevalente degli edifici, a cui si deve il nome di «città bianca») siano elementi essenziali di Tel Aviv. A questo poi si aggiungono i dettagli che la rendono unica: le vetrate, che rispetto all'Europa scompaiono per via della troppa luce, la predominanza di balconi di ogni tipo, tutti ombreggiati da tettoie per contrastare il caldo, e gli edifici, divisi per blocchi, disegnati con sbalzi e rientranze per intercettare la brezza marina.

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Il Messaggero