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Don Giovanni entra in scena dalla platea sulle note dell’ouverture. Sale sul palcoscenico, tira giù il grande sipario rosso e scopre un gigantesco specchio ondeggiante che riflette in modo distorto il pubblico. Non poteva essere più potente l’incipit firmato dal regista Robert Carsen alla Scala per la ripresa del capolavoro di Mozart che aveva inaugurato la stagione 2010/2011 e che domenica sera è stato proposto per la terza volta con grande successo in un Piermarini stracolmo e festante.
La differenza con le ultime inaugurazioni scaligere fa impressione. In Carsen c’è teatro puro, che non ha bisogno di tecnologia, realtà aumentata ed effetti speciali. In scena bastano pochi oggetti: delle sedie, un letto e delle quinte dipinte. I gesti e le interazioni tra i personaggi esprimono idee chiare ed evidenti. Qui non c’è il famigerato “famolo strano” al quale segue l’immancabile reazione “che avrà voluto dire?” del pubblico, tipico di troppi allestimenti in circolazione.
Per Carsen, Don Giovanni incarna elementi postivi e vitali.
Il teatro nel teatro per il regista canadese non è un esercizio intellettuale, ma la soluzione che nasce dalla drammaturgia del capolavoro mozartiano, nel quale il protagonista spesso mette in scena quello che sta per succedere, gestisce la sua vita e la sua morte come un regista. Un esempio per tutti. Nel secondo atto, quando Leporello travestito da Don Giovanni fa le avances a Donna Elvira, il libertino assiste alla scena dando le spalle al pubblico, seduto in compagnia della cameriera di Elvira, che poi esce di scena completamente nuda.
Don Giovanni è un mito del presente, che torna sempre: nel finale va all’inferno come da libretto, ma poco dopo ricompare in scena, sigaretta in bocca, e a sua volta fa sprofondare tutti gli altri personaggi che gli avevano appena fatto la morale.
Sul podio è stato chiamato il direttore d’orchestra spagnolo Pablo Heras-Casado che ha offerto una lettura elegante e controllata, ma con una gamma dinamica piuttosto monocorde e non sempre impeccabile nei brani d’insieme. Buona la prova del protagonista, Christopher Maltman, che però difettava della necessaria forza seduttiva del personaggio. Il Leporello di Alex Esposito è invece da manuale per presenza attoriale, adesione al personaggio e qualità vocali. Il giovane mezzosoprano Emily D’Angelo ha restituito una Donna Elvira più convincente sul piano attoriale che non su quello vocale. Buona la coppia formata da Hanna-Elisabeth Müller e Bernard Richter (Donna Anna e Don Ottavio), discreta Andrea Carroll (Zerlina) e ottimo Fabio Capitanucci (Masetto), buono Günthner Groissböck (il Commendatore). Si replica fino al 12 aprile.
Luca Della Libera
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