Suffragette, un film resuscita le lotte dimenticate delle inglesi del primo 900

Suffragette, un film resuscita le lotte dimenticate delle inglesi del primo 900
Una storia di lotta. Una storia di dolore. Ma soprattutto, curiosamente, una storia semisconosciuta. Sembra incredibile che ci siano voluti cent’anni perché il cinema...

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Una storia di lotta. Una storia di dolore. Ma soprattutto, curiosamente, una storia semisconosciuta. Sembra incredibile che ci siano voluti cent’anni perché il cinema si ricordasse delle battagliere suffragette inglesi, così diverse dalle loro timorate (e più note) cugine statunitensi, tanto combattive alle urne quanto perbeniste in casa, eppure è così.




Il risultato è il film che ha aperto il 33mo Torino Film Festival, Suffragette appunto, un tuffo nella Londra del 1912 in cui appaiono brevemente personaggi storici come Emily Wilding Davison, prima e decisiva martire sull’altare della causa, e soprattutto Emmeline Pankhurst (Meryl Streep), leader e teorica del movimento, un personaggio che meriterebbe un film a parte (Castelvecchi ha appena pubblicato le sue tumultuose memorie).



Anche se per evitare i facili schematismi da “biopic” le autrici di Suffragette, la regista Sarah Gavron e la sceneggiatrice Abi Morgan, entrambe presenti a Torino, hanno affidato il ruolo della protagonista all’immaginaria Maud (Carey Mulligan), lavandaia e figlia di un’altra lavandaia, nonché sposata a un dipendente dalla stessa enorme lavanderia (uno dei punti di forza del film, più interessante nello sfondo storico che nel racconto).



Anche per ricordarci la natura composita e interclassista di questo movimento molto radicale, che non esitava a incendiare edifici vuoti e cassette postali per vincere l’indifferenza dell’opinione pubblica (e la censura di quelli che ancora non si chiamavano media). Ma nel 1918, dopo lunghe e durissime lotte, sarebbe riuscito a imporre l’estensione del diritto di voto alle donne, anche se solo dai 30 anni in su (per il suffragio universale la Gran Bretagna aspetterà altri dieci anni, Italia e Francia in compenso lo concederanno solo nel 1945, la civilissima Svizzera addirittura nel 1971, per non parlare dell’Arabia Saudita dove è a tutt’oggi una promessa).



Difficile non essere emotivi con una materia tanto ribollente, tanto più che il film giustamente non ci risparmia le scene forti. Manifestazioni disperse dalla polizia, pestaggi brutali di signore inermi, molestie sessuali, scioperi della fame, nutrizione forzata, mariti pronti a malmenare le ribelli («sei una moglie e una madre!») e magari a dare il figlioletto in adozione a una coppia benestante, per liberarsi da un fardello e punire la reproba. Eppure uscendo dall’immensa sala del Lingotto era impossibile non nascondere l’insoddisfazione per un racconto che non decolla mai veramente, malgrado i mille eventi che mette in scena e il cast di serie A.



Oltre a Mulligan e Streep ci sono infatti Ben Whishaw marito infido, Helena Bonham Carter dottoressa e attivista borghese, Brendan Gleeson sbirro con un cuore. E con strumenti nuovi di zecca come apparecchi fotografici e teleobiettivi per incastrare le ribelli: il movimento delle suffragette fu infatti anche un banco di prova per la modernità. In tutti i sensi. E una delle cose più belle di questo film a corrente alternata sono le immagini d’archivio dei solenni funerali con cui Londra salutò l’attivista morta per così dire in diretta all’ippodromo di Epsom, sotto l’occhio delle cineprese di tutto il mondo, mentre tentava di bloccare il cavallo del re per fare propaganda alla causa.



Peccato che i personaggi siano appena sbozzati e la drammaturgia decisamente fragile. Mentre le azioni dimostrative, che oggi qualcuno potrebbe grossolanamente definire terroristiche, restano orfane di una storia più strutturata e coinvolgente. Se ne riparlerà a marzo, quando Suffragette uscirà in Italia grazie alla Bim. Senza aver perso, almeno di questo purtroppo siamo certi, un grammo di attualità. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero