"Steve McCurry, Icons and Women”: a Forlì gli scatti più famosi del fotoreporter

"Steve McCurry, Icons and Women”: a Forlì gli scatti più famosi del fotoreporter
Ha affascinato milioni di persone lo sguardo della ragazza afghana immortalato dalla macchina da presa di uno dei più apprezzati e stimati maestri della fotografia contemporanea:...

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Ha affascinato milioni di persone lo sguardo della ragazza afghana immortalato dalla macchina da presa di uno dei più apprezzati e stimati maestri della fotografia contemporanea: Steve McCurry. Il nome della ragazza dagli occhi verdi è Sharbat Gula e il suo volto, fotografato quasi vent’anni fa nel campo profughi di Peshawar, racconta tanto di sé - la paura, la povertà, la diffidenza di una bambina il cui mondo è segnato da guerre e intolleranze -, tanto del fotografo che ricerca, nei volti umani da lui immortalati, la suggestione di emozioni vere e spontanee che possano toccare il cuore dello spettatore.







Sharbat è stata ricercata e ritrovata dopo oltre 17 anni, il suo viso è segnato dall’età, dalle fatiche, dagli stenti, ma i suoi occhi non hanno perso quel barlume di vivacità e intelligenza. McCurry ha voluto fotografarla nuovamente, per regalare a quanti apprezzano la sua fotografia una risposta a una domanda molto semplice: che fine ha fatto la bambina con gli occhi verdi?



Possiamo ammirare questi due meravigliosi scatti insieme dal 26 settembre al 10 gennaio 2016 presso i Musei di San Domenico di Forlì. La mostra "Steve McCurry. Icons and Women" presenta, infatti, una selezione delle immagini più famose del fotoreporter che ruotano intorno al ritratto di Sharbat, che ormai è unanimemente riconosciuto quale simbolo della speranza di pace in un mondo sempre più agitato da guerre ed esodi di massa. L’allestimento della mostra è concepito per valorizzare un universo tutto al femminile, che accoglie il visitatore con i suoi sguardi profondi e malinconici, facendogli gustare un girotondo in cui si mescolano età, culture ed etnie.



Anche il tema della guerra si pone come linea guida della retrospettiva: l’allestimento trascina il visitatore in una sorta di vertigine dove vengono mostrate le violenze e le atrocità dei conflitti che egli dovrà attraversare per raggiungere un ambiente estremamente diverso dominato da accoglienza, pace, poesia e amore, di cui le donne sono sempre protagoniste. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero