Il jazz e rhythm & blues dell’americana Dee Dee Bridgewater, da Memphis, e della connazionale Anastacia, da Chicago, le canzoni dei nostri Raphael Gualazzi e Edoardo...
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Nato ventisei anni fa e voluto da Papa Karol Wojtyla per finanziare la costruzione di 50 chiese a Roma per l’Anno Santo (il grande B. B. King offrì a Giovanni Paolo II la sua storica chitarra Lucille, che prese il nome da quello di una ragazza per la quale scoppiò una rissa in un locale dell’Arkansas, club che poi prese fuoco e costrinse il chitarrista a gettarsi nelle fiamme per salvare lo strumento), il concerto ha visto in scena tutti, da Lucio Dalla a Randy Crawford, Mercedes Sosa, i Manhattan Transfer, Miriam Makeba, Dionne Warwick, Pino Daniele, Noa, Negramaro, Al Jarreau, Patti Smith, Angélique Kidjo, Antonella Ruggiero, Sarah Jane Morris, Renato Zero... ditene uno e c’è passato.
E quest’anno, alla faccia di Salvini, il concertone natalizio diventa una sorta di Riace allargata in musica: il tema principale è quello dei rifugiati e il progetto punta a raccogliere fondi per creare spazi locali in tanti paesi del mondo per milioni e milioni di persone che sfuggono a guerre, povertà, fame e altri problemi e si spostano da un paese all’altro in cerca di miglior vita. Un piccolo esempio fra i tanti? Soltanto in Congo ci sono quattro milioni di persone che girano all’interno del paese alla ricerca di un posto dove sopravvivere, e lo stesso accade in mezza Africa e altrove.
Uno degli obiettivi del concerto è semplice: facciamo rete con l’educazione, con i centri di formazione professionale, con tutto quello che può aiutare la gente a crescere e a migliorare le proprie condizioni, dalla costruzione alla falegnameria, dalla scuola fino ai campi profughi in paesi africani.
L’anno scorso il concerto, la cui realizzazione è finanziata dagli sponsor, fra biglietti venduti (stavolta costano da 60 a 200 euro), diritti televisivi e donazioni ha fruttato più di 300 mila euro, e per l’edizione 2018 si spera di raggiungere una somma più alta. Sono due i progetti principali: quello della Fondazione Pontificia Scholas (ha aperto a Erbil, città del Kurdistan iracheno, un progetto educativo in un campo profughi che prevede la scolarizzazione di base e l’educazione informale con attività sportive, culturali, artistiche e sociali, con la collaborazione di diverse università irachene, italiane ed europee, e ha in programma due campi profughi, in Iraq e in Uganda) e le Missioni Don Bosco (a cura dei salesiani, da un anno gestiscono a Palabek, Uganda, un campo che ospita 40 mila profughi, e puntano sull’educazione scolastica e sulla formazione professionale dei giovani).
Sono iniziative che intervengono sull’emergenza e vogliono offrire strumenti concreti per costruire un futuro, come dire due alternative alla migrazione attraverso l’educazione. Come non rispondere con un sì?
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Il Messaggero