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Politici, giù le mani da Sanremo. Non è bastato che le prime 12 file del Teatro Ariston, come ha detto Fiorello, siano state tolte. Ed erano quelle che fungevano da vetrina per i politici, nella Prima e nella Seconda Repubblica, al tempo del monocolore democristiano di Pippo Baudo, così come nel centrosinistra di Fabio Fazio, nel centrodestra di Paolo Bonolis, nel Nazareno con il tandem Carlo Conti-Maria De Filippi. Le poltroncine, per motivi di spazio, ossia per allungare un po' il palco, non ci sono più. Ma i politici, specie in campagna elettorale, una ribalta così nazional-popolare non se la fanno sfuggire. E se al festival non vanno fisicamente, ma qualcuno a cominciare da Salvini (domani sera) c'è, ci s'intrufolano via social. Non è parso vero a Di Maio di poter sfruttare la battuta di Fiorello - «Se vince il toy-boy di Orietta Berti andate tutti a casa» - e ha cinguettato: «Lo prendo come un augurio». Quello di diventare davvero il toy-boy dell'Orietta (che la settimana scorsa fece un endorsement politico per Giggino) e insieme quello di arrivare primo nella gara canora - ma finora sono urla scomposte, toni stonati - del 4 marzo? La Berti, che sta per esordire a Masterchef Celebrity su Sky, non ha visto Sanremo l'altra sera, e quindi - dice sorniona - «non posso giudicare». Comunque, sorride, «ho un marito da 50 anni e non sono il tipo che si fidanza con i giovani».
EMMA
Anche i cantanti, come Ornella Vanoni, contribuiscono alla politicizzazione non richiesta dell'evento. L'Ornella fu craxiana nella Prima Repubblica ma da Sanremo ha annunciato: «Voto Emma Bonino». Identico endorsement da parte della Sandrelli. Mentre Salvini, fingendo di essere offeso per una battuta di Baglioni - «Qui non canta il coro degli alpini», ma gente presumibilmente più intonata ma in realtà non è detto - annuncia: «Vado al festival per difendere l'onore degli alpini». In realtà, ci va, con la fidanzata Elisa Isoardi, per farsi vedere da tutti a meno di un mese dalle elezioni. E la par condicio? Per rispettarla, la Rai ha deciso di non puntare nessuna telecamera sul leader leghista. Ma tanto egli parlerà prima e dopo, entrando e uscendo dall'Ariston, e la sua presenza servirà a farsi avvicinare e a farsi dire, come ormai gli succede spesso nell'Italia reale, «caro Matteo, quanto approvo il tuo pugno di ferro contro i migranti». A Salvini andare al festival serve a dimostrare che la gente è con lui. Renzi invece ha detto ai suoi l'altro giorno: «Rispettiamo la sacralità di Sanremo». Ovvero, evitare le passerelle. Ma lui per primo non ha resistito, almeno informa digitale, a intromettersi nella grande cerimonia nazional-popolare: «Ha già vinto lui», ha twittato il segretario del Pd un minuto dopo la fine dello show di Fiorello: «Oggettivamente il numero uno».
WELFARE
Pietro Grasso invece ha annunciato: «Tifo per la canzone dello Stato sociale. Perché il nome di quel gruppo rispecchia il nostro programma». E il suo compagno di partito, Bersani, non si sa se voglia fare un complimento o un affondo quando dice di Baglioni: «Somiglia a Gentiloni». E forse proprio questo è il punto. Baglioni-Favino-Hunziker (il primo piace a tutti come è tipico dei democristiani, il secondo è di sinistra e la terza viene da Mediaset) sembrano incarnare le larghe intese e un implicito gentilonismo di oggi e magari di domani. A cui gli altri politici cercano, goffamente, di rubare la scena.
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Il Messaggero