Roma, da Gomorra a Tor Bella Monaca: Marco D'Amore in periferia per il suo "American Buffalo"

Roma, da Gomorra a Tor Bella Monaca: Marco D'Amore in periferia per il suo "American Buffalo"
La star di "Gomorra" sceglie Tor Bella Monaca. Scelta non casuale per Marco D'Amore che punta alla sfida del teatro in una periferia "scomoda"...

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La star di "Gomorra" sceglie Tor Bella Monaca. Scelta non casuale per Marco D'Amore che punta alla sfida del teatro in una periferia "scomoda" chiacchierata della Capitale per tornare al suo vecchio amore d'attore, il palcoscenico. Ed è nel teatro di vecchia gloria capitolina, aperto nel quartiere estremo di Roma che solitamente conquista l'onore delle cronache per traffici criminali, che il divo "Ciro" debutta dal 10 al 12 novembre con il suo "American Buffalo", testo cult del Premio Pulitzer David Mamet, negli anni interpretato anche da Al Pacino e, al cinema, da Dustin Hoffman. Una rivisitazione che dirige e interpreta insieme a Tonino Taiuti e Vincenzo Nemolato,  che con lo scrittore Maurizio De Giovanni ha trasferito da Chicago a Napoli, traducendo il mood di un linguaggio basso cui Mamet fa spesso riferimento nel testo, nella lingua musicale per eccellenza, il napoletano di Marco D'Amore. Un debutto, il suo, in attesa che torni la terza attesissima stagione della serie tv tratta dal romanzo di Roberto Saviano venduta in più di 160 paesi (su Sky Atlantic HD, dal 17 novembre). 


La sfida di "American Buffalo" sta tutta nel pianificare una tournée che tocca anche teatri piccoli. Come racconta D'Amore all'Ansa: «A Tor Bella Monaca, poi, incontreremo gli studenti. Esperienze come queste fanno rifiorire le periferie, rivalutano il territorio, con il coinvolgimento di chi vive situazioni difficili. Credo molto nel potere salvifico del teatro. Anche nel mio caso, per le possibilità che mi ha offerto. E so di molti che anche dopo aver sbagliato nella vita hanno trovato nel teatro un'illuminazione per cambiare. Sì, forse i personaggi di American Buffalo, come Ciro o Genny di Gomorra, se avessero avuto un teatro vicino magari, chissà...».


In scena, calvo e balbuziente, è Ò Professore, disgraziato che insieme a un altro balordo e a Don, robivecchi con il mito del States, progetta di rubare una moneta, che forse vale una fortuna, forse no. «È l'apologia del fallimento e del crollo del mito a stelle e strisce», spiega lui, che al fascino di Hollywood invece si dice immune. «Sono sempre più affascinato dal mito italiano - aggiunge - Il mio sogno è affermarmi, costruire una credibilità nel mio paese. Non essere solo una meteora, ma instaurare un rapporto sincero, di fiducia, con chi viene a vedermi. No - prosegue - non mi sento arrivato. Nel mio mestiere è giusto fare bilanci a lungo termine. Per anni sono stato accanto a Toni Servillo, che ha raggiunto il successo a 50 anni. Me li ricordo i teatri insieme a Campobasso con 10 persone in platea. All'estero andrò - conclude - solo nel rispetto e nella dignità del mio mestiere, non per dire una battuta in un film». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero