La Patagonia come stato d’animo, il gelo come condizione interiore. La durezza di quella terra desolata come traduzione sensibile dell’esilio in cui vive, forse...
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Come Locke Torna in mente il furioso Locke, a cui formalmente La ricostruzione non somiglia affatto, perché anche qui è di scena un rovello morale, una scelta estrema e forse autopunitiva. E anche Locke, curiosa coincidenza, era un capocantiere, segnato dallo scrupolo e dalla precisione. Le analogie finiscono qui, La ricostruzione non è così radicale nelle forme né così geniale negli sviluppi. Ma il sentimento che muove i due protagonisti ha qualcosa di simile.
Silenzi Anche qui, è evidente, ci sono colpe sepolte da riscattare con sofferenza e isolamento. Anche se per scoprirlo dovremo seguire Eduardo nella città di Ushuaia, sempre in Patagonia, accettare i silenzi e i modi bruschi con cui film e personaggio ci portano da un vecchio amico che sembra il suo opposto. Un omone barbuto, cordiale, comprensivo, anche se non sempre di buonumore, con una bella moglie e due figlie adolescenti e litigiose. Che cosa hanno in comune Mario e Eduardo, perché Mario dopo tanti anni ha bisogno di lui, fino a dove potrà arrivare Eduardo e come farà, così chiuso e inselvatichito, a sostituirsi all’amico quando le circostanze glielo imporranno?
Invisibile Non sempre imprevedibile negli sviluppi, ma teso, sensibile, cucito addosso a un pugno di attori perfetti, La ricostruzione pedina l’invisibile catturando in una fitta ragnatela di gesti e silenzi i sentimenti, i timori, gli smottamenti interiori dei personaggi, con asciutto rigore e momenti bellissimi (il “selfie” in ospedale, la scena della doccia). Solo in versione sottotitolata, una volta tanto. Evviva. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero