Antonio Tabucchi in un libro di Bajani, tutto da riscoprire

Antonio Tabucchi in un libro di Bajani, tutto da riscoprire
Sono già passati tre anni dalla morte di Antonio Tabucchi ma per certi versi è come se non fosse accaduto nulla. Come se i...

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Sono già passati tre anni dalla morte di Antonio Tabucchi ma per certi versi è come se non fosse accaduto nulla.


Come se i molti che lo avevano letto e amato non volessero arrendersi al dato di fatto, e all’opposto la società letteraria tutto sommato l’avesse voluto seppellire in fretta e furia, rimuovendo con una celebrazione d’ordinanza il grattacapo di uno scrittore- di un maestro- che s’era rintanato a Lisbona (e a Parigi) perché profondamente disgustato dall’Italia.



Tra le poche iniziative di questi anni, sarebbe giusto tornare a leggere un libro delicato in cui Andrea Bajani - che della delicatezza ha fatto la sua cifra stilistica - racconta della sua amicizia con Tabucchi. “Mi riconosci” (Feltrinelli, pag. 143, 12,00) parte da questa amicizia per dire del rapporto che si può instaurare tra uno scrittore giovane e uno vecchio, e in filigrana è anche un apologo morale che ribalta alcuni luoghi comuni: in letteratura i rottamatori non esistono, e l’aspetto conflittuale che pure s’instaura tra padri e figli, tra maestri e allievi, è sempre riconducibile a una dialettica virtuosa, a un fare antico da bottega.



Se è vero che la scrittura è un mestiere solitario- Bajani paragona l’artista a un acrobata sospeso su un filo-, è altrettanto vero che ognuno è libero di scegliersi i propri modelli, al di là dello spazio e del tempo. Una narrazione capace di restituire tutte le sfaccettature e la complessità di Tabucchi, dall’amore per Pessoa al sarcasmo da maledetto toscano, fino alla sua proverbiale intransigenza che a un certo punto del libro gli fa dire: “Se l’ignoranza fosse un vuoto sarebbe facile riempirlo di cose, di cultura. Ma l’ignoranza è un pieno. E’ un muro da abbattere, oppure da scavalcare”.



Bajani chi era davvero Tabucchi? O almeno chi era secondo lei?

Era un uomo che camminava sul crinale tra la vita vissuta e quella sognata, con un’andatura tutta svirgolata che era solo sua.



In “Mi riconosci”, a partire dal titolo che evoca l’atto di un rispecchiamento, Tabucchi è sempre sdoppiato. Nella figura del narratore che gli dà del tu, nella statua di Pessoa, in un fratello immaginario, persino nell’immagine televisiva di Omar Sharif…

Pessoa e Pirandello gli erano fratelli nella moltiplicazione delle identità. Quello che mancava, a Tabucchi, era di diventare a sua volta un personaggio. Ed è quello che è successo, scrivendo “Mi riconosci”. L’ho raccolto, e quando l’ho messo tra le righe delle finzione, era evidente che quello era il suo mare. E così, semplicemente, ha cominciato a nuotare.



Nonostante il libro trasmetta una sensazione di luce, perfino di gioia, è pervaso costantemente da immagini di morte. C’è il racconto del funerale di Tabucchi, c’è la visita alla tomba di famiglia nel cimitero vecchianese, ci sono molte telefonate e mail che sembrano già provenire dall’oltretomba. La letteratura è una specie di seduta medianica?

La letteratura è una domanda. Quanto è più grande la domanda tanto più si alza l’asticella. E la domanda per eccellenza è quella ultima. Dove vanno a finire quelli che non sono più? Dove finiremo noi? Per farla bisogna avere un po’ di coraggio e un po’ di incoscienza. Poi il resto viene da sé: ci si affaccia là, in quel vuoto sterminato, e si urla “C’è nessuno?”. E quando la voce ritorna indietro e ti rendi conto che è la tua, è difficile non sorridere.



Il libro è anche una storia di case: l’abitazione di Parigi dove Tabucchi offre cenette a base di spaghetti e champagne; la casa della giovinezza a Vecchiano, ormai disabitata e tenuta in vita dagli amici; il buen retiro a Lisbona… Si può capire meglio Tabucchi attraverso il racconto delle sue case?

Le case sono prima di tutto un contenitore di fantasmi. Ne sono impregnati gli oggetti, i muri, i pavimenti. Ci sono fantasmi anche tra le lampadine fulminate di una casa in cui non va più nessuno, tra le lenzuola piegate negli armadi. I fantasmi, diceva Derrida, dicono sempre una cosa sola: “Vorrei imparare a vivere”. E i fantasmi erano senza dubbio tra i migliori amici di Antonio Tabucchi. E della letteratura in generale. Scombinano le carte, fanno come vogliono loro. E noi dietro a prendere nota delle loro stranezze. Per questo “Mi riconosci” ne è pieno.



In un tempo in cui gli scrittori si muovono molto per blocchi contrapposti e sostanzialmente generazionali, è bello leggere di questo rapporto tra uno scrittore giovane e uno vecchio. Si torna sempre alle affinità elettive, non è così?


Gli scrittori forse si muovono per blocchi generazionali - non tutti, per fortuna -, ma la letteratura certo no. Se ne frega dei recinti anagrafici, li gabba, li scavalca, li spernacchia. La letteratura chiama in causa una parte più profonda delle persone, la stana. È lì, proprio in quel momento, che succede qualcosa, che si accende una fiammata. Se succede qualcosa di molto grande, come in certi rapporti, in certe amicizie, allora è bello stare a guardare il fuoco.



(Twitter: @LuRicci74) Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero