Renzo Arbore si racconta in un libro: e se la vita fosse una jam session?

Renzo Arbore si racconta in un libro: e se la vita fosse una jam session?
E se la vita fosse una jam session? La risposta è "sì". Parola di Renzo Arbore, titolare di quella che lui definisce una vita improvvisata, proprio come...

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E se la vita fosse una jam session? La risposta è "sì". Parola di Renzo Arbore, titolare di quella che lui definisce una vita improvvisata, proprio come s’improvvisa nelle jam session, e che ha scelto questa domanda come titolo del libro edito da Rizzoli nel quale racconta la sua lunga avventura (radiofonica, televisiva, musicale, di uomo di spettacolo, di clarinettista e cantante, di collezionista degli oggetti più disparati e via di questo passo), prezzo 35 euro. Come lo riassumerebbe in poche righe se fosse uno di quei minifilm che pubblicano i giornali?












«Un libro improvvisato come la mia vita, perché all’improvvisazione devo la mia passione per la musica che poi è diventata passione per la parola improvvisata, all’insegna dello slogan carpe diem».



Spiega Arbore che ha cercato di raccontare attraverso il libro «quello che ho visto della società e della vita civile, dalla guerra che ho visto a Foggia quando ero un bambino, poi con gli americani, poi quando sono andato a Napoli e dopo a Roma, e che vedo ancora oggi guardando la televisione e la rete, che è la mia ultima passione».



E aggiunge che «un grande aiuto mi è venuto da Lorenza Foschini, cui è toccato il compito di trovare, selezionare, raccogliere e mettere insieme il materiale dal quale è partito Renzo per la stesura del volume, che mescola racconti, immagini, confessioni, curiosità e mille altri ingredienti. E’ una bravissima raccoglitrice di memorie, un’interlocutrice che ti stimola, e il libro è venuto bene per suo merito. Abbiamo raccolto tutto anche in video, e tutto è scritto nel linguaggio parlato e con quell’improvvisazione che ci portiamo dietro dall’invenzione del jazz in poi, che ha partorito la radio, la televisione e la musica».



Che altro? «Nel libro non ho cercato di parlare solo di me, ma di quello che ho visto perché possano vederlo gli altri e, vedendolo, possano dire sì, forse era proprio così. E anche di quello che il pubblico vorrebbe sapere di me, dai retroscena ai backstage. Nelle pagine ci sono le mie dieci o quindici passioni, dalla plastica a Napoli, dal jazz alla provincia, da New Orleans allo shopping, da Totò ai pupazzetti o alle luci colorate, in una sorta di rassegna. Non c’è niente che sostenga idee come io sono bravoIo sono solo stato fortunato perché adesso mi sono accorto di aver vissuto rispettando la sacra regola del carpe diem.



Ho recuperato il patriottismo con Telepatria International, ho celebrato la fine degli anni del terrore e degli anni di piombo con Quelli della notte passando dal riflusso all’edonismo reaganiano, ho fatto la satira della televisione degli anni ’80 con Indietro tutta. Non ne potevo più di dire da dove chiama, il programma lo fate voi, gli sponsor, il cacao meravigliao, le ragazze coccodè...».



Arbore ha sempre cercato di interpretare un po’ i tempi, anzi di anticiparli. «E di fornire anche l’alternativa, perché i jazzisti sono già ”altri” in partenza: il jazzista ha scelto il jazz perché è l’altra musica, rispetto alle canzoni e a tutto il resto. Una volta a Doc nel 1987 facevamo una rubrica intitolata Se non son neri non li vogliamo, ancora non c’era Salvini, ed era il razzismo alla rovescia. Noi della musica siamo i meno razzisti di tutti: bianchi, neri, gialli, ebrei, palestinesi, sono tutti fratelli, e i neri inoltre hanno spesso più swing di noi.



La musica è un linguaggio universale che ha fatto da collante per distruggere il pregiudizio delle razze. Adesso c’è un’altra forma pericolosa di discriminazione, però è un discorso lunghissimo e non lo finiremmo neanche in venti libri».

Nelle ultime pagine c’è il nome dell’assassino, o come al solito è il maggiordomo? «L’assassino è il consueto, e lo slogan ”occorre razzolare nell’inconsueto”, che era quello di quando facevamo L’altra domenica, è oggi più valido che mai.



Noi siamo andati sempre alla ricerca dell’inconsueto, che erano di tutto, dal cantante di Portorico che cantava Cocorito cocorito ai tulipani di plastica con le lampadine dentro. E il libro è anche l’inconsueto, perché ho avvicinato personaggi del passato come Federico Fellini, ho fatto Il Papocchio, il mio primo film, sul Papa, nato il giorno in cui stavamo lavorando, volarono in aria i fogli e pensammo che se fossero volati a Fellini li avrebbero potuti trovare dei cineasti dilettanti come noi. La vita è una jam session: noi facevamo le jam session, e le nostre jam session erano anche verbali, con Massimo Catalano e compagni, o mentrre si suonava jazz saltavano fuori Maruzzella o Reginella, e dì li nacque l’idea dell’Orchestra Italiana.



Sì, abbiamo avuto una vita impagabile, e raccontarla è una gioia davvero impagabile». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero