Quentin Tarantino infiamma Roma: «Politicamente corretto? Oggi è difficile essere liberi di girare un film»

Il regista alla Festa del Cinema, dove ha ricevuto il premio alla carriera tra gli applausi: «Bisogna credere nei propri principi»

Il ciclone Quentin Tarantino travolge la Festa di Roma. Il suo rapporto con il cinema, il libro basato sull'ultimo film C'era una volta a Hollywood, il mito di Pulp...

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Il ciclone Quentin Tarantino travolge la Festa di Roma. Il suo rapporto con il cinema, il libro basato sull'ultimo film C'era una volta a Hollywood, il mito di Pulp Fiction, l'atteso e forse imminente terzo capitolo di Kill Bill, il ruolo di padre (un anno e mezzo fa è nato Leo dalla moglie israeliana Daniella Pick, 37, nella Capitale con lui), i limiti del pensiero politicamente corretto, il suo mito Sergio Leone e del capolavoro Il buono, brutto e il cattivo, tanto che sul set chiama semplicemente Sergio i primi piani «e la troupe capisce al volo», gli amati B-movies italiani, Cinecittà: «Se c'è la storia buona vengo a girare negli studios romani, magari uno spaghetti-western». Infine Ennio Morricone: «Un gigante, affidargli le musiche di The Hateful Eight è stato un sogno».


Il regista, 58 anni e 2 Oscar, ieri all'Auditorium è stato premiato alla carriera da Dario Argento che gli ha detto: «Sei l'orgoglio del cinema americano e anche di quello italiano». Poi è stato il mattatore di un fluviale Incontro Ravvicinato moderato da Antonio Monda tra risate, aneddoti e ovazioni. E meno male che un giorno sì e l'altro pure annuncia il ritiro dal set: ma nessuno lo prende sul serio.

Quentin Tarantino a Roma: «Il mio sogno? Girare un film a Cinecittà»

GLI EROI
«Il pensiero politicamente corretto ha reso oggi più difficile girare i film in libertà», dice Tarantino, «ma l'impresa non è del tutto impossibile: bisogna credere nei propri principi senza preoccupasi del giudizio della gente. Se nel 1994 io avessi dato retta ai critici che trovarono da ridire su Pulp Fiction, non sarei qui. Avevo girato un film divertente, che male c'è? Oggi mi consolo pensando che lo spirito permissivo degli anni Novanta deve molto a Pulp Fiction, ancora oggi materia di conversazioni». Ha deciso di fare cinema «perché i miei eroi erano i registi». Ma all'inizio della carriera, per accreditarsi anche come attore, «m'inventai di aver interpretato Zombie di George Romero e l'orribile Re Lear di Jean-Luc Godard, tanto non l'avrebbe visto nessuno». Il cinema è morto? «Non credo: finita la pandemia, la sala che possiedo a Los Angeles è tornata a riempirsi e così ne ho comprata un'altra». Il libro C'era una volta a Hollywood (La Nave di Teseo) l'ha scritto «per utilizzare il materiale che non ero riuscito a mettere nel film: è un mix di cultura alta e bassa, è letteratura trash ma è venuto benissimo». Proprio uno dei protagonisti di quella storia, lo stuntman in disgrazia Cliff Both interpretato da Brad Pitt, è il suo personaggio preferito tra i tanti inventati in 30 anni di carriera. «Invece mi sta antipatico Rick Dalton (Leonardo Di Caprio, ndr) perché è un piagnucolone che non riconosce di aver avuto una bella vita come attore di serie tv. Se penso ai miei film, C'era una volta a Hollywood è l'unico che descrive un mondo in cui avrei voluto abitare».

LA CONDANNA


Alle spalle di Tarantino giganteggia il manifesto della 16esima Festa di Roma che raffigura la protagonista di Kill Bill, Uma Thurman. Farà il terzo film della saga? «Forse, è un'idea», risponde il regista. Che in due suoi film, Bastardi senza gloria e C'era una volta Hollywood, ha osato riscrivere la storia uccidendo Hitler nel primo e lasciando in vita Sharon Tate nel secondo. «Potevo permetterlo, era roba mia!», esclama tra gli applausi, «e quando ho ammazzato Hitler, perché non sapevo come concludere la sceneggiatura, ho fatto benissimo. Se a qualcuno non sta bene, può vedere gli altri film storici, non il mio». C'è qualcuno che, in cambio dell'impunità, oggi vorrebbe togliere di mezzo? Tarantino reagisce («ehi, ma io non ucciderei nessuno!») poi sta al gioco e risponde: «Ho sempre detestato il regista David Wark Griffith: Nascita di una nazione, il suo film del 1915, è un inno al razzismo e ha la responsabilità di aver rivitalizzato il Ku Klux Klan. Anche per colpa sua tanti ebrei e tanti neri sono stati ammazzati. Al processo di Norimberga Griffith sarebbe stato condannato». Se poi parla del suo ruolo di padre, Tarantino si illumina. «Da quando è nato il piccolo Leo le mie priorità sono cambiate», dice. «Ho fatto un figlio alla fine della carriera e di certo non è un caso».
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Il Messaggero