Popolizio: «Per narrare l'oggi non serve fare talk show a teatro. In Steinbeck c'è tutto»

Massimo Popolizio in "Furore" da Steinbeck
«Più ci si attiene al libro da cui è nato lo spettacolo, all’epoca in cui è stato scritto, più è stretto il rapporto con Rosarno o...

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«Più ci si attiene al libro da cui è nato lo spettacolo, all’epoca in cui è stato scritto, più è stretto il rapporto con Rosarno o con altri luoghi di sofferenza. Non serve portare a teatro “Piazza Pulita” per rendere più forte una storia. Raccontiamo l’epopea di un popolo che è scappato dalla polvere, per poi morire nell’acqua. E in Steinbeck c’è già tutto».


Massimo Popolizio è alla vigilia di un suo nuovo debutto: Furore al Teatro India da martedì 19 novembre: «Un’opera sonora con 180 segnali musicali e 120 video, costruita insieme con Emanuele Trevi che ha curato l’adattamento e Giovanni Lo Cascio che esegue le musiche dal vivo. Una sorta di Odissea».

Steinbeck come Omero?
«Sì, perché è un lavoro che va oltre la denuncia, riguarda l’umanità. Ma anche Steinbeck marxista, per la sua analisi sulla proprietà privata. E Steinbeck Papa Francesco quando affronta il tema del cammino interiore, dell’importanza di saper superare i propri principi per abbracciare cambiamenti necessari. I momenti più toccanti sono quelli dedicati all’incontro tra le persone che arrivano e i californiani costretti ad accogliere i profughi: abituati a rincorrere il lusso, si trovano costretti a guardare negli occhi uomini che cercano cibo».

Che tipo di riduzione è stata fatta sul testo?
«Siamo partiti dagli articoli che Steinbeck scrisse nel ‘36 sul “San Francisco News”. Da quelle osservazioni da cronista nacque poi il libro tre anni più tardi. Ai suoi reportage abbiamo aggiunto immagini dell’epoca, suoni e voci. Il primo passo di un progetto più vasto che, se ci sarà modo, affronteremo in futuro, reinserendo magari tutta la parte sulla famiglia che al momento non c’è».

Nessun riferimento all’oggi: secondo lei è un errore drammaturgico o morale?
«Io vengo dalla scuola ronconiana. In scena va mostrato l’essenziale. Amoreggiare con la quotidianità abbassa la tragicità del racconto. Come se avessi fatto lo spettacolo Il nemico del popolo parlando dei 5 Stelle. O se in Furore avessi inanellato riferimenti a Salvini. Basta la scena finale: una donna perde un figlio durante l’alluvione. Si ripara in un pagliaio dove c’è un ragazzo con il padre che sta morendo di fame e cerca un po’ di latte per farlo sopravvivere: la donna si scopre il seno e allatta il vecchio. Altro che tg».

Nel film di Natale con Ficarra e Picone, in cui lei interpreta Erode...
«Mi sono divertito. La loro leggerezza è elegante. È il mio primo cinepanettone e sono contento di aver lavorato con loro. È ambientato a Palermo. Notte di Natale, si prepara il presepe. E a sorpresa i protagonisti si ritrovano a Betlemme, sta nascendo Gesù Bambino. Erode gli dà la caccia...»


Teatro India, lungotevere Gassman, Roma. Da martedì 19 novembre al primo dicembre
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Il Messaggero